-"Voi due siete molto più simili di quanto pensate." Rispose il biondo. "Lui vuole controllarmi, è vero, ma tu non sei da meno. Credi di aiutarmi ma, in realtà, fai l'esatto opposto e lo fai soltanto per tenermi accanto a te." Aggiunse. "E io sono stanco di essere controllato da qualcuno, non sono una marionetta." Continuò. "E adesso metti in moto, parti e cerchiamo di rendere questa fottuta vacanza il più sopportabile possibile e, magari, evita di parlarmi."
-"Vaffanculo, Federico." Replicò il più grande, con il volto contratto in una smorfia delusa e ferita, e mise in moto. "Sul serio, vaffanculo."
Dopo quelle parole tanto dure nel piccolo abitacolo era calato il silenzio, neppure la radio accesa riusciva a smorzare quel clima di tensione che si era creato e nessuno dei due sembrava interessato a fare qualcosa in proposito. Quelle furono per i due fidanzati - nonostante a vederli sembrava fossero tutt'altro - le otto ore più lunghe della loro vita mentre attraversavano gran parte dell'Italia per giungere alla loro meta.
Federico, nonostante stesse cercando di non darlo a vedere, si era pentito quasi subito dopo per le cose che aveva detto al compagno, sapeva di aver esagerato a paragonarlo al padre ma aveva parlato prima ancora di pensare. Il biondo non pensava assolutamente ciò che gli aveva detto e in parte la rabbia che aveva provato nei giorni precedenti gli era passata, per quanto ci provasse non riusciva ad avercela davvero con il moro, ma era stato troppo orgoglioso per dirglielo e mettere fine a quella discussione. Con gesti che potevano sembrare quasi casuali, involontari, il più piccolo aveva tentato di attirare l'attenzione del compagno ma questo non lo aveva degnato di uno sguardo, Benjamin durante quelle otto ore di viaggio non aveva aperto bocca e non lo aveva guardato neppure per un momento, sembrava stesse fingendo di essere solo in auto.Quando, ormai a sera inoltrata e con la pioggia che non era diventata più fitta che li aveva accompagnati per tutto il viaggio, i due ragazzi arrivarono a destinazione Federico non ebbe neppure il tempo di perdersi ad ammirare la meraviglia di quel posto perché fu costretto a seguire in casa il fidanzato, che sembrava stesse scappando via da lui.
-"Puoi fermarti un momento?" Gli domandò Federico ed entrò nella villa, non troppo grande ma estremamente confortevole e lussuosa, che il moro aveva prenotato per loro due.
-"Ci sono due stanze, scegli in quale vuoi dormire." Rispose il moro, senza voltarsi a guardarlo, e si diresse verso le scale in legno. "Io dormirò nell'altra."
-"Stai scherzando?"
-"Non vorrei mai che la mia somiglianza con tuo padre ti facesse fare gli incubi." Disse, sarcastico, il ventiduenne e salì il primo gradino.
Il più piccolo sospirò e scosse la testa.
-"Puoi fermarti, almeno un minuti, e parlare con me?" Gli chiese il più piccolo e camminò verso di lui.
-"No."
-"No?"
-"In macchina eri tu a non voler parlare, adesso sono io." Rispose Benjamin e si sistemò meglio sulla spalla il suo borsone nero.
-"Non ero io quello che scappava davanti ai problemi?" Lo provocò il biondo e incrociò le braccia al petto. "Adesso sei tu a scappare."
Il più grande, per la prima volta dopo più di otto ore, si voltò a guardarlo e la sua espressione fece quasi rabbrividire il compagno.
-"Sai, avevi ragione." Iniziò a parlare il più grande. "È divertente scappare davanti ai problemi, dovrei farlo più spesso." Aggiunse. "Oh, aspetta, tuo padre lo fa? Non vorrei mai essere diverso da lui." Disse, con la sola intenzione di ferire il suo compagno.
Federico serrò le labbra in una linea dura e scrutò attentamente l'espressione del più grande. Lo stava sfidando. Benjamin lo stava sfidando, consapevole che non sarebbe stato lui a cedere, ma non sapeva che neppure Federico aveva intenzione di arrendersi tanto presto.
-"Adesso basta." Ringhiò Federico. "Smettila con questo discorso." Aggiunse. "Non voglio più sentirlo."
Il moro inarcò un sopracciglio e scosse la testa.
-"Non sapevo di essere appena stato promosso a schiavo." Replicò il moro e si voltò, per riprendere a salire sulla stretta scala in legno. "Io non prendo ordini da nessuno, Federico, nemmeno da te." Concluse e salì al piano superiore.
-"Benjamin!" Gridò il più piccolo e sbuffò sonoramente, per poi seguirlo al piano superiore. "Dobbiamo parlare."
-"Parla con il muro se ci tieni tanto." Replicò il moro ed entrò in una stanza.
"Adesso basta." Pensò il diciannovenne, seguì il compagno nella stanza e, prima che questo se ne rendesse conto, chiuse la porta in legno a chiave.
-"Ma che fai?!" Gridò il moro, dopo aver poggiato sul letto il suo borsone. "Apri subito questa porta!"
Il più piccolo scosse la testa e nascose la chiave nella tasca posteriore dei suoi jeans neri strappati sul ginocchio.
-"Ti ho detto che dobbiamo parlare." Disse il diciannovenne. "Siediti." Gli indicò, con un cenno della testa, il letto alle sue spalle.
-"Quando ero io a volerti parlare tu non hai mai voluto." Rispose il moro e incrociò le braccia, coperte dal suo solito giubbotto di pelle nera nonostante non fosse adatto a quel periodo e lui stesse gelando, al petto. "Adesso perché io dovrei parlare con te?"
-"Perché tu sei una persona migliore di me." Controbatté il più piccolo e appoggiò la schiena contro la porta in legno.
-"Sì, certo." Sbuffò il ventiduenne e si sedette sul letto.
-"Ben, mi dispiace." Disse il minore e si avvicinò a lui, mentre il parquet della camera scricchiolava ad ogni suo passo. "Mi dispiace averti trattato in quel modo fuori casa mia e anche averti detto determinate cose in auto." Aggiunse e si inginocchiò davanti a lui. "Mi dispiace averti tenuto a distanza durante questi giorni ma ho apprezzato molto che tu abbia rispettato la mia decisione, mi ha fatto capire che tieni davvero a me e volevi, davvero, solo aiutarmi." Continuò e gli accarezzò le ginocchia, coperte da un jeans scuro. "Mi dispiace non aver creduto alle tue buone intenzioni, di averti aggredito in un certo senso, ma la domanda di mio padre mi ha spiazzato e ho iniziato a pensare al peggio.
Mi dispiace, Benjamin. Mi dispiace tantissimo."
Benjamin guardò gli occhi dell'altro per qualche momento, come a voler giudicare se fosse sincero o meno.
-"Perché non ti fidi di me?"
-"Io non ho mai detto che non mi fido di te."
-"Ma me lo dimostri, che è anche peggio." Disse Benjamin. "Non ti fidi mai di me. Qualsiasi cosa io faccia tu pensi sempre che finirà male, non ti fidi di quel che ti dico." Aggiunse "Per te sono sempre quello che sbaglia."
Il biondo sospirò e gli accarezzò, delicatamente, le ginocchia.
-"Non è facile per me fidarmi delle persone."
-"Ma io non sono una persona qualsiasi, Federico." Lo interruppe il ventiduenne. "Io sono il tuo fidanzato, dovresti fidarti di me." Aggiunse. "Altrimenti non avremo mai basi per la nostra relazione."
-"Io mi fido di te." Disse il biondo, in netto contrasto con quanto aveva detto poco prima. "Solo che delle volte faccio fatica a dimostrarlo, delle volte la mia negatività ha la meglio e finiamo per litigare." Aggiunse. "Ma ti prometto che cercherò di cambiare quest'aspetto di me, però per farlo avrò bisogno di te al mio fianco." Continuò. "Puoi perdonarmi?"
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Lettere dal passato. || Fenji.
Fanfiction«2050, sono passati trent'anni da quando Federico ha spedito una lettera che ha cambiato per sempre la sua vita. Trent'anni da quando due opposti hanno trovato il modo di essere simili. Che cosa sarà successo in così tanti anni? Quella lettera sarà...