Immagina un pazzo

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Per aspettare un vostro amico andaste sotto casa di un tuo lontano cugino, dove c'era qualche scalino per sedervi e riposarvi dopo la lunga passeggiata.
Tu ed uno dei componenti del gruppo saltaste mano nella mano le scale per vedere chi riusciva a reggere altri salti dopo quelli delle molle del parco del paese.
Tu avanzasti un altro po', verso la strada in discesa, ma a causa del tuo equilibrio ancora precario inciampasti e arrivasti alle spalle di un signore in canotta a righini blu (questo particolare ha subito instaurato in te il dubbio che fosse un tipo piuttosto rozzo).
Senza aver avuto alcun contatto con lui ti girasti pronta a tornare fra i tuoi amici, ma facesti appena in tempo a sentire lo scontroso "Vuoi qualcosa?" della donna bionda e grassa che lo accompagnava prima di avvertiredue grosse mani piene di calli premere sulla tua pelle e spingerti in avanti.
Riuscisti a stare in piedi e li guardasti mentre iniziavano ad insultarti, dandoti della cretina, della puttana, accusandoti di volergli causare chissà quale male.
Provasti a dire "stavo cadendo", ma in risposta la donna continuò a ripeterti più volte "caduta la minchia" e ad inveire verso di te.
L'amico che fino a poco prima aveva fatto buffonate con te ti affiancò e i due adulti se ne andarono, percorrendo i trenta metri della discesa sparando insulti senza sosta, mostrando la loro completa ignoranza riguardo i veri significati dei termini che ti rivolgevano.
Quando li vide svoltare, il tuo amico tolse dalla tua bocca la mano che aveva usato per evitare che tu prendessi ad insultarli.
-'fancul a nont!- dicesti senza urlare davvero.
-O cazzo stanno tornando!- un altro dei presenti, il più fifone dei quattro, quasi non terminò la frase per correre via verso la piazza gremita di gente, mentre tu e il tuo amico restaste impietriti.
Insieme correste verso un muretto, sperando che la bassa statura del signore vi regalasse dei secondi per fuggire, ma il vuoto vi paralizzò.
Sei metri di vuoto davanti agli occhi e alle spalle una belva, che col pugno alzato in bella vista aveva percorso la lunga strada in salita in un attimo.
-Io ti ammazzo!- potevi vedere solo la furia in quei suoi occhi coperti dalle lenti macchiate, potevi avvertire il calore della sua mano stretta davanti a te, potevi sentire la sua voce forte annullare ogni speranza di reagire.
-Chiama la polizia!- sussurasti piano al tuo amico che era rimasto al tuo fianco, pronto ad aiutarti.
L'aggressore, impercettibile, si spostò indietro, ma poi vinto dalla rabbia disse che sarebbe stato lui a chiamarla, dando ancora una volta prova della sua insanità.
-Signori, le mani no!- cercando di sembrare il più pacato possibile il tuo amico intervenne diplomaticamente in tua difesa, ma la moglie, che aveva solo finto di frapporsi fra te e suo marito durante quella folle corsa, era restia e continuava ad accusarvi senza un reale motivo.
Indietreggiasti di appena un passo, troppo spaventata per parlare ancora.
Avresti voluto urlare, difenderti.
Sapevi che, volendo, insieme avreste potuto ridurlo in coma.
Ed invece non eravate riusciti a far altro che scelte sbagliate, dalla strada scelta per la fuga alle parole usate contro di lui, troppo deboli per fermare una bestia.
Poi la cruda sensazione di dolore che perforava le tue tempie ed ancora l'acuto stridere della mascella venuta a contatto col suo pugno ossuto e letale.
Ancora un passo indietro, mentre le sue mani si avvolgevano burbere al tuo collo troppo magro per resistere.
Ma non gli bastava finire così, non senza farti soffrire ancora.
Un altro colpo prese in pieno tre delle tue costole gracili, mentre i vecchi affacciati al balcone non avevano nemmeno la decenza di urlare aiuto: potevi vederli starsene lì, come un'altro componente del gruppo ancora seduto sulle scale a mangiare il suo gelato, tutti troppo impegnati a far finta di nulla per agire.
Ancora un passo indietro e un coltello piantato fianco.
Straziante dolore che sgorgava insieme al sangue e lasciava il tuo corpo.
Muto silenzio che copriva le urla del ragazzo che ti era rimasto accanto e la furia dell'uomo che ti aveva colpito.
Un ultimo passo e arrivasti al muretto di pietra.
Una spinta.
Cadesti inesorabilmente al suolo, senza che l'ebbrezza del volo fosse diventata manifesta.
La tua schiena colpì il duro asfalto per prima, seguita dal cranio che si infranse sul nero manto dove giaceva il tuo corpo privo di respiro.
Non potesti mai venire a conoscenza di ciò che accadde dopo, ma prima di morire rivolgesti un pensiero a chi amavi e poi ti abbandonasti ad una sarcastica e poco adatta al momento consapevolezza: almeno eri morta capendo perché, nei film Horror, i protagonisti non fanno mai la scelta giusta.

#storiaveraconfinaleverosimile

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