Capitolo 6: Buonanotte, Angelo mio.

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Beth ebbe l'accortezza di fingere di dormire mentre Cecily e Alexia sparivano nella camera privata della Guaritrice. Non appena la porta si fu chiusa, si mise a sedere. Odiava la notte; le ricordava Edom, la presenza degli Inferi nelle sue stanze ogni volta in cui Epoh desiderava punirla e aveva il terrore che se avesse chiuso gli occhi, si sarebbe ritrovata là. Laggiù, all'Inferno.

Avrebbe tanto voluto poter leggere, per far passare il tempo. Ad Edom, di solito, riusciva a rubare e leggere di nascosto qualche tomo dalla biblioteca. Ma alla Casa non aveva nulla. Nulla per passare le ore di veglia, in attesa del sonno che non veniva quasi mai. E se veniva era accompagnato dagli incubi. Quella notte in particolare poi...Non aveva ancora deciso cosa avrebbe scelto il giorno seguente.

Una parte di lei la spingeva verso la sicurezza della Pace, con le sue simili, all'Eremo. Smettere di soffrire per sempre...e naturalmente rivedere lei. Scosse il capo; sarebbe stata una tortura, non sapeva obbedire, essere calma e controllata come le sue simili. E se Epoh non era riuscito ad insegnarglielo con la frusta più nessuno ci sarebbe in alcun modo riuscito.

Gettò le gambe oltre il bordo del letto. Si sentiva un po' debole dopo tutta l'immobilità di quelle settimane e le dolevano ancora i muscoli per la fuga. I suoi piedi piagati erano stati pietosamente bendati da Cecily, ma camminarci fu comunque poco piacevole. Era come calpestare i vetri rotti, punizione che spesso le era stata inflitta. Si avvicinò lentamente alla porta e si voltò un solo istante, preda a qualche esitazione, ma dalla stanza di Cecily non giungeva alcun rumore. Spinse la porta e scivolò in un corridoio sconosciuto, di pietra.

Non sapeva dove stava andando, sapeva solo che voleva muoversi, nonostante le fitte ai piedi. Voleva andare in giro per la Casa, nelle ore che le erano più familiari, quelle delle tenebre. Raggiunse il grande atrio in cui ricordava di essere svenuta e salì la scalinata imponente. Vagò come uno spettro per i corridoi, godendosi il silenzio e la freschezza delle pietre sotto le bende, le torce alle pareti e le finestre decorate di ghirlande di ghiaccio. Era tutto nuovo e meraviglioso. Non aveva mai conosciuto un luogo del genere, così freddo eppure colmo di puro calore umano. Forse la sua casa di Londra...

Si fermò davanti a una porta e la aprì. Rimase quasi senza fiato. Valeva la pena di risvegliare quell' atroce dolore ai piedi solo per vedere la grande Biblioteca, le file di scaffali straripanti di libri dai dorsi rilegati in seta e le poltrone di velluto consunto. Al centro della sala campeggiava un pianoforte a coda. Era pulito e lucido, quindi qualcuno lo suonava spesso. Chissà, forse Antony...

Le dite di Beth lo accarezzarono come fosse un tesoro andato perduto. Non ascoltava musica da quando aveva sei anni e suo padre le dedicava quella sinfonia antica, pensò. Si morse forte il labbro ed esplorò gli scaffali polverosi. Tra i tomi sconosciuti e dai toni seriosi, comparvero anche nomi noti, come quelli di vecchi amici. Le biblioteche di Edom erano ben fornite, perché la prima regola per i Demoni era quella di conoscere i propri nemici. Ne accarezzò uno, ricordando la prima volta in cui si era resa conto che poteva leggere, a patto di non essere scoperta da Epoh. Si chiese quante delle sue cicatrici fossero dovute ai libri che non era stata abbastanza lesta a nascondere.

Estrasse da uno scaffale la Storia degli Armati. Quelle pagine consunte le erano costate care, ricordò con una fitta. Poi si rese conto che non era il dolore del ricordo di una punizione passata, ma qualcosa di ben più fisico. Le ferite sui piedi, seppur coperte da candide bende e in via di guarigione, si erano riaperte. Beth non ci badò e sedette su una poltrona nascosta, iniziando a leggere alla luce della lampada.



Jamie scivolò in biblioteca in silenzio, come al solito, la mente che rincorreva pensieri oscuri. Le finestre erano velate di ghiaccio e la luna brillava attraverso i vetri, illuminando il pavimento di marmo. L'Armato slacciò la cintura delle armi e la depose su una bassa sedia insieme alla spada, poi sedette allo sgabello del piano e le sue dita si mossero veloci e precise. Prima di rendersene conto stava già suonando, ricordando l'Orfanotrofio di Parigi, le stanze piccole e poco ospitali, il viso di Benedette, i suoi moniti, le risate degli altri bambini e il suo pianto leggero nella notte. Note dolci, struggenti, si riversarono fuori dallo strumento, formate dalle sue dita esperte...Poi udì un tonfo. Si interruppe subito, voltandosi ed alzandosi, la mano che scattava ad estrarre un pugnale dalla cintura abbandonata

EPOH- Tu sei miaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora