Qualche anno prima, Nuova Zelanda.
Thay aveva paura degli aghi. Sapeva che per un Armato non era onorevole essere impaurito da quegli insulsi oggettini pungenti, ma l'idea di farsi bucare la pelle lo faceva tremare. Le armi, quelle erano diverse. Erano semplici, facili, perfette. Si usavano per fare del male in nome del bene e questo gli bastava; ma gli aghi, gli aghi non gli erano mai piaciuti.
Non aveva confidato mai a nessuno, tranne che a Lilo quella paura, la paura stupida di un bambino. I suoi genitori avrebbero riso. Ma ora che non era più un bambino, che aveva dodici anni, l'idea della Prova lo turbava. Sarebbe stato forte abbastanza? Aveva il terrore di fallire, di dover restare bloccato per sempre lì, nella minuscola Casa neo zelandese, persa in un' isola senza futuro, dove nulla cambiava mai. Era quello l'atroce destino degli Armati che fallivano, restare. Thay non voleva, voleva disperatamente andarsene, conoscere posti nuovi, posti bellissimi e lontani, conoscere altri come lui: altri che non erano normali, che erano diversi, che non avevano la perfezione richiesta agli Armati. Sapeva che c'era in lui qualcosa di sbagliato e voleva capire cosa, ma come poteva se non se ne andava da lì? Era il suo dodicesimo compleanno, il grande giorno. C'erano altri Armati in fila, mentre il Tutore preparava i suoi arnesi; rabbrividì. Erano presenti anche degli Umani: per l'Ordine era inaccettabile avere contatti con loro, ma la casa neozelandese e forse altre sfuggivano al pressante controllo di Roma. La pace tra Armati e Maori, come dovevano chiamarsi quegli Umani, era stata sancita anni prima della sua nascita e come prova di buona fede ora le tradizioni dei due popoli si erano mischiate, tanto da essere impossibile discernere cosa era Umano e cosa no.
La prova di coraggio a lui sembrava tutto ma non Umana, a dire la verità: sedersi a terra e lasciare che la storia della sua vita, del suo popolo, gli fosse scritta sulla pelle con dell'inchiostro. Un braccio intero, dolorosamente inciso nella lingua degli Umani che assistevano implacabili. Aveva paura, paura di non resistere al dolore. Tutti dicevano che faceva male, che era atroce e chi cedeva, non finiva l'opera, restava per sempre imprigionato nel varco tra età adulta e infanzia, mai libero di andarsene da solo. Mai un vero Armato. Thay voleva farcela. Doveva.
Il suo migliore amico Lilo gli strinse la mano con forza; stavano pensando la stessa cosa, loro due sarebbero andati via insieme. C'era un legame tra loro che di certo andava oltre l'amicizia, oltre la fratellanza. Erano anime simili che si consolavano a vicenda perchè sentivano la maledizione che gravava sul loro capo. Più il tempo passava, più Thay iniziava a rendersi conto che Lilo era come lui e che entrambi erano sbagliati per l'Ordine. Ma lontano da quella Casa, le cose sarebbero andate meglio. Attese il suo turno, mentre gli altri Armati avanzavano. Alcuni arrivarono in fondo al rituale, mordendosi a sangue le labbra, ma molti non ce la fecero. Quando arrivò il momento di Lilo, Thay gli sorrise. Era troppo forte per non arrivare alla fine. Il Tutore posò l'ago sull'avambraccio del ragazzo ed iniziò a disegnare. I Maori assistevano in religioso silenzio, mentre gli Armati reietti, quelli che portavano tatuaggi non completi perchè non avevano terminato il rituale, fissavano Lilo e Thay sapeva che cosa volevano, volevano che si arrendesse. Ma non sarebbe mai successo, perchè lui era...
Lilo lanciò un urlo di dolore e scostò la mano del Tutore; scuoteva il capo, ansante, pallido come la morte. Si alzò, il braccio che sanguinava, le linee scure che si intrecciavano fino al gomito, ma non oltre. Aveva fallito. Fallito. Il suo cuore mancò un battito; non era vero, non ci credeva, non voleva crederci. Lo fissò mentre a testa bassa si univa alla schiera dei raminghi, senza incrociare i suoi occhi.
-Thay- lo chiamò il Tutore e fece cenno di sedere a terra. Lui obbedì e tese il braccio. Si sarebbe arreso, sarebbe rimasto lì, con Lilo, perchè faceva troppo male andare via. Alzò lo sguardo e cercò gli occhi dell'amico. Lui lo guardava, le pupille dilatate. Scosse appena il capo. Il cuore di Thay battè più forte: non poteva arrendersi. Doveva realizzare il loro sogno, andarsene, lo doveva fare per lui, per Lilo. Ricacciò indietro le lacrime, chiudendo gli occhi e non fece nulla quando sentì il pungente dolore dell'ago che gli penetrava nel braccio. Il Tutore tracciò un tatuaggio semplice, qualcosa che doveva rappresentare Thay, che doveva rappresentare la sua vita. Il suo nome, scritto in caratteri segreti. Poi continuò, ma il dolore non importava. Non importava perchè Thay vedeva solo Lilo e si rendeva conto che non erano amici. Erano di più. Erano innamorati. E quello era un amore malato, sbagliato. Perchè non era naturale. Era solo una maledizione.
La prova finì prima che se ne rendesse conto; fissò il Tutore che posava l'ago e lo bloccò. Non voleva finisse. Quel dolore lo faceva stare bene.
-Continua.- disse seccamente.- Voglio che continui.
-La prova è superata- disse l'uomo, poi però gli tese l'ago, sporco di sangue ed inchiostro.- Ma se vuoi, puoi continuare tu.
E Thay lo fece. Lo fece quel giorno, lo fece il giorno dopo e quello dopo ancora, lacerandosi la pelle, l'anima, il cuore. Incidendosi con rabbia la carne, con disegni bellissimi e misteriosi. Lilo era parte del passato, lo doveva essere, erano separati, ora, dall'abisso che c'è tra uomo e bambino. Lilo era relegato per sempre in quella Casa e Thay sarebbe dovuto partire, il giorno dopo. Gli avevano detto che era diretto alla Casa americana, ma non contava dove stesse andando. Stava lasciando un amore innaturale, un amore che voleva e non voleva. Il dolore della carne lo faceva stare meglio.
Non gli fu permesso di salutare Lilo. Dovette partire senza dire nulla al suo migliore amico e in cuor suo, sapeva che non lo avrebbe mai rivisto, perchè era questo il destino di un Armato che lasciava il suo luogo di origine: non tornare mai. E lui non sarebbe mai tornato.
Erano passate tre settimane e stava fissando un atrio luminoso, una Casa pulita, sconosciuta. Attendeva paziente che la Tutrice lo accogliesse, i suoi bagagli accanto, la lama appesa alla spalla. Stava contemplando il suo riflesso in uno degli specchi appesi lungo le pareti: Tahy non esisteva più. Aveva i capelli corti, gli occhi duri e il corpo completamente coperto da tatuaggi. Avevano smesso di sanguinare pochi giorni prima e ora erano visibili in tutta la loro bellezza: il suo nome, quello di Lilo, quelli dei genitori, la storia della casa Neozelandese...ogni centimetro della sua pelle di Armato era un istante della sua vita fermato nella carne per sempre.
-Wow.- disse una voce e lui si voltò di scatto. C'era un ragazzo al centro dell'Atrio, che di certo prima non c'era. Era biondo, con capelli disordinati, un viso imbronciato e occhi bianchi. Fissava con le mani in tasca Thay, il capo leggermente inclinato: non poteva avere più di dodici o tredici anni, ma sembrava più vecchio, più saggio. Thay odiò quella bellezza acerba che gli ricordò Lilo.- Tu chi sei?
-Un Armato.- mostrò il medaglione con orgoglio. Il ragazzo sorrise, agitando la mano affusolata.- Anche io, chiedevo il tuo nome, idiota.
-Non darmi dell'idiota.- sibilò Thay con rabbia. Lo sconosciuto sorrise.- Sei strano.
-Chi è strano?- comparve una ragazza dai lunghi capelli neri che guardò con interesse Thay, le pupille dilatate.- Oh.
-Smettetela di fissarmi- ringhiò minaccioso lui, estraendo l'arma. Odiava quegli sguardi.
-Calmati.- disse il ragazzo e portò la mano alla cintura da cui pendeva una spada.- Oppure...
-Smettila Jem!- qualcuno corse verso di loro. Un altro Armato, stavolta un ragazzo. Moro, dagli occhi dorati. Fissava preoccupato il biondino.- Deve essere il nuovo discepolo.
-Mi ha minacciato, Alex.- commentò il ragazzo.- E anche tua sorella.
L'Armata incrociò le braccia sul seno.- Non è vero, Jamie, esageri.
-Come sempre.- disse lui e mise via l'arma.- Non mi vuole dire il nome.
Alex, così lo aveva chiamato, si voltò. Thay rimase senza fiato: era bello, aveva gli occhi che gli ricordavano la sabbia delle sue spiagge e capelli neri come ebano. Ebbe un brivido. Gli piaceva quello sguardo, lo fece sentire per la prima volta normale, non sbagliato.
-Come ti chiami?- chiese con dolcezza.
Lui esitò. Una nuova vita. Nuove lotte, la possibilità di ricominciare, magari con un nuovo amico. Alex gli piaceva. Thay smise di esistere.
-Sono Lilo.- si presentò e fece un sorriso.- E credo che tu sia appena diventato mio amico per aver zittito questo biondino.
-Dovere.- disse Alex con un sorriso.
In quel momento, pur non sapendolo, i due stavano accettando una maledizione che li avrebbe accompagnati per sempre.
ANGOLO DELL'AUTORE.
Lilo ha svelato i suoi segreti, alla fine...o lo dovrei chiamare Thay? Secondo voi cosa hanno in comune lui e Alex? Avete indovinato la loro maledizione? Cosa pensate di Lilo? Vi piace?
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EPOH- Tu sei mia
FantasyUna vita senza amore. Sembra questo il destino di Jamie, l'Armato più abile dell'Ordine. Almeno fino a che Beth non piomba nella sua vita con la forza di un uragano, decisa a combattere contro l'oscurità che incombe, decisa ad essere libera per la...