Capitolo 115: Parlando di lui di lei... di noi

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Francesca's Pov
Lavoravo in casa Corinto da una settimana e non riuscivo ad evitare di rivolgere i miei pensieri a quel giovane tanto misterioso che si trovava in camera di Tommaso. Sembrava un sequestratore, un ladro o qualcosa di simile, ma si era comportato in modo opposto a quello di un criminale.
Stavo andando a lavorare e nel frattempo studiavo. Con gli scossoni del treno era un po' difficile, ma ormai mi ci stavo abituando.
Quando arrivai a casa Corinto e suonai il campanello ad aprirmi la porta fu Gabriele... era lì, davanti a me, in tutto il suo splendore. Uno splendore diverso dal solito: quello che lo faceva sembrare un principe azzurro di quelli delle fiabe! Questo principe, però, non si comportava come i classici bellimbusti che si danno tante arie. Rimasi a guardare quello che una volta era il mio ragazzo e rimasi incantata dalla sua espressione dolce.
"Fatima. Tutto bene?" mi chiese lui.
Io sussultai per la sorpresa, arrossii violentemente e cercai di coprirmi il viso con le mani.
"Sì. Mi scusi" balbettai, "è... è che... mi ricorda una persona alla quale tengo moltissimo... ed è per questo che mi sono soffermata sul suo viso tanto a lungo."
"Puoi venire più vicina?" mi chiese dolcemente.
Mi avvicinai di più a Gabriele e lui sollevò delicatamente il mio viso con un dito. A quel contatto provai un piacevolissimo brivido.
"Anche se hai un altro colore di capelli hai lo stesso viso della ragazza che amo" mi disse.
"Ma... ma io non somiglio per niente alla signorina Arianna!" dissi balbettando. Non mentivo su questo: vedendoli baciarsi molto più spesso credevo che si fosse "finalmente" innamorato della sua ragazza.
"Per quanto mi dispiaccia dirlo non mi riferisco a lei" disse Gabriele abbassando il volto e arrossendo. Non era affatto cambiato: doveva comportarsi in modo scorretto, ma se ne vergognava tanto quanto io mi vergognavo di farmi passare per una certa Fatima Fiore, una biondina che nemmeno esiste.
"E... e chi è... l-lei?" balbettai tremando. "Se posso chiederlo, è chiaro!"
"So che posso fidarmi di te... vieni, non restare qui sulla porta, ti spiego tutto su in soffitta."
La soffitta di quella casa un tempo era la mia stanza e a quelle parole i ricordi mi piombarono addosso senza lasciarmi via di scampo.
Andammo in soffitta e ci mettemmo seduti su quella specie di letto.
"Fatima... io ero e sono tuttora innamorato di una creatura meravigliosa. È una ragazza dolcissima, coraggiosa, affettuosa e timida... proprio come te. Abbiamo passato insieme tanti momenti piacevoli e non, provavamo amore reciproco e ci aiutavamo l'un l'altra. Io amo Arianna, ma non nel modo in cui è intesa la parola: la amo come si ama un'amica, una confidente. Nemmeno lei è innamorata di me perché ha finalmente trovato qualcuno che può renderla davvero felice, ma non può stare con lui."
"Signor Gabriele, perché lei e la signorina Arianna portate avanti una storia che non ha alcun senso?"
"Perché la ragazza che amo correrebbe un grave pericolo se non lo facessimo. Ah, la mia povera piccola Francesca! Mi manca così tanto!"
"Ah, si chiama Francesca?" gli chiesi con voce tremante.
"Sì. Si chiama così." rispose.
"Oh mio caro Gabriele... Se solo tu sapessi che quella che tu chiami: "La mia piccola Francesca" in realtà è accanto a te... se solo tu sapessi che sono io" pensai.
"Mi scusi tanto se mi sono permessa di fare queste domande, so bene che non avrei dovuto... le chiedo mille volte perdono!"
Realizzai che non potevo spingermi troppo in là dato che per lui non ero più Francesca, bensì un'estranea, una cameriera per giunta. Non che a lui importasse della mia estrazione sociale, ma non potevo arrogarmi il diritto di fargli quelle domande. In fondo non ero più nessuno per lui in quel momento.
"Non ti preoccupare. Al contrario, mi ha fatto bene confidarmi con te. Sai, mi ricordi tanto... lei!"
"Ed è un bene questo?" chiesi.
"Sì, lo è" rispose lui, ma notai subito che aveva un luccichio negli occhi.
"Fatima, io devo andare. Se non ti dispiace potresti portarmi un blocchetto che ho lasciato qui?"
"Sì, basta che mi dica dove..."
La mia voce si affievolì come la fiamma di una vecchia candela.
"Nel mio ufficio, al pianterreno. È accanto alla cucina" disse lui.
"Okay... arrivo subito" dissi guardandolo mentre si allontanava.
Iniziai a cercare quel blocchetto, ma non lo trovavo da nessuna parte. Quando lo trovai, però, lessi la scritta: "Angelo rosso."
Ero curiosa di sapere cosa vi fosse scritto, ma mi imposi di badare agli affari miei.
Mi avvicinai alla porta dell'ufficio del mio angelo e lo chiamai: "Signor Gabriele, posso entrare?"
Gabriele's Pov
Ero lì per aiutare Tommaso a catalogare un mucchio enorme di scartoffie e in quel momento adempivo al mio dovere, ma il dialogo con Fatima aveva riportato a galla molti ricordi.
Appoggiai la testa sulla scrivania e sentii gli occhi bruciare, poi le lacrime iniziarono a bagnare il mio viso.
Poi sentii la voce di Fatima: "Signor Gabriele, posso entrare?"
Non sapevo come comportarmi, mi dispiaceva che lei mi vedesse in quelle condizioni, ma non potevo certo lasciarla fuori da quella porta.
"Entra" dissi con voce un po' tremante.
"Signor Gabriele! Oh mio Dio, ma che cos'ha?" chiese vedendomi piangere.
Francesca's Pov
Lo vedevo in lacrime e non sapevo come comportarmi.
"Le hanno dato fastidio le domande che le ho fatto sulla signorina... Francesca?" chiesi con voce sempre più fievole. Odiavo mentire, ma non potevo fare altrimenti.
"No, no, non è così... È da un bel po' che..."
"Ehi! La prego signore, adesso si calmi, giuro che se dovesse servirle qualcosa, io..."
A quel punto scoppiai in lacrime anch'io.
In quel momento dimenticai tutto: dimenticai chi ero e chi dovevo essere e gli gettai le braccia al collo.
"Grazie Francesca" mi disse lui.
Francesca! Perché mi aveva chiamata con il mio nome, perché? In quel momento non ebbi la forza di dire che non ero Francesca, non potevo mentirgli in quelle circostanze, sarei stata una specie di mostro.
Eravamo stretti l'uno all'altra e nessuno di noi riusciva a riprendersi.
"Senti... se ti fa male parlare di questo... ti giuro che non te ne parlerò più, mai più, ma non posso vederti così, mi fa molto male!"
Lui mi guardava sorpreso e allo stesso tempo con tenerezza.
Mi sentivo in colpa per avergli detto le peggiori frottole, mi sentivo davvero in colpa.
"Perdono" dissi con un filo di voce. "Perdono!"

Innamorata del mio fratello del cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora