Capitolo 48

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Nonostante il suo comportamento ribelle, tuttavia le suore, preoccupate seriamente per la salute precaria dell'esile e cerea fanciulla, le portavano comunque qualcosa da mangiare.
Ovviamente di nascosto dalle altre collegiali che potevano giustamente ribellarsi alla vista di tali privilegi.
Ciò nonostante codeste indispensabili premure, Agata, orgogliosamente caparbia, non si cibava ugualmente.
Al compimento del quindicesimo anno di età, abbandonò per sempre l'orripilante e soffocante collegio con tutte le sue antipatiche e insopportabili suore.
Entrò finalmente in un regno, per paradosso divino, di un diverso creato, prettamente materiale e non più spirituale.
Ormai del tutto estranea e distante da quella esistenza assiduamente oppressa e asservita a futili e stolti principi, era ora tentata e affascinata dalle gioie e dai piaceri di un mondo indubbiamente accattivante.
Già se ne era infatuata attraverso le meravigliose foto e immagini di giornali e riviste scorse all'epoca dell'istituto.
Adesso poteva concretamente provare, toccare, sfiorare tutto ciò con mano.
Ma tale interessante e misteriosa realtà, che per tanto tempo aveva sognato e desiderato conoscere, non era così incantevole, facile e felice come quella a lieto fine dei suoi fotoromanzi.
Purtroppo, nata in una famiglia povera e modesta, non poteva permettersi di chiedere o di domandare ciò che era impossibile richiedere e ottenere.
Quindi, per soddisfare vizi e capricci, prevedibili alla sua giovane età d'incosciente adolescenza, senza perdersi d'animo, rimboccandosi le maniche, cominciò a lavorare.
Contando solamente sulle proprie forze e capacità, che a quanto pare a lei non mancavano di certo, cercò di arrangiarsi come meglio poteva.
Intraprese mestieri più svariati e differenti: operaia, apprendista, contadina, serviente e domestica.
Ma di tali lavori, troppo umili per lei, non ne era entusiasta e così un giorno, senza alcun indugio, incertezza, rimpianto e rimorso, prese tutte le sue cose e partì per l'Inghilterra.
Ci rimase per circa due anni, poi ritornò nuovamente nel suo piccolo paese.
Ma al suo rientro riscontrò che nulla comunque era cambiato.
Delusa e dispiaciuta, constatò che tutto era rimasto esattamente come prima: scarso lavoro, poco divertimento, troppa criminalità, eccessiva disoccupazione, miseria, povertà, stessa vita, stesse facce, stessa mentalità ristretta.
Anticonformista a tutti gli effetti, amante delle cose belle e stravaganti, soffriva al solo pensiero di dover vivere in quell'ambiente così antiquato e retrogrado nel quale si sentiva soggiogata.
Avvertiva un forte bisogno di evadere, allontanarsi, fuggire, una volta e per sempre.
Fin quando un piccolo barlume, uno spiraglio di luce e speranza.
L'annuncio di mio padre scorto casualmente su quel fatidico giornale.

L'Illusione di un padreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora