Capitolo 85

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Dinnanzi a tanto squallore, a tanta barbaria, al rappresentarsi mostruoso di un dipinto così deturpato e brutale, dovevo ritenermi comunque una bambina fortunata.
Del resto, di che cosa o per che cosa dovevo lamentarmi?
A me, effettivamente, non mancava quasi nulla.
Il lavoro redditizio di mio padre, in grado di soddisfare regolarmente ogni mia esigenza e necessità.
Una casa confortevole e accogliente.
L'amore e le attenzioni di due nonne meravigliose; una sorella; un fratello; il calore più sentito di pochi, tuttavia sinceri, di parenti e amici.
E forse un padre che, nonostante le sue mancanze e i suoi difetti, mi voleva ad ogni modo, anche se a modo suo, un bene grande e generoso; sebbene, mio malgrado, molte volte trattenuto.
E allora perché mi sentivo spesso così afflitta e abbattuta?
Perché, di tante facce presumibili e probabili, quella mia che mostravo era quasi sempre la stessa: monotona, schiva, avvilente, restia.
Perché, tra le varie e disparate maschere indossabili, allegre e bizzarre, quella mia che portavo era la più malinconica, la più sofferente.
E perché non riuscivo mai ad esternare, e quindi a trasmettere, tutto ciò che di bello e meraviglioso coabitava rigogliosamente recluso dentro me.
Ebbene, seppure sussisteva una risposta immediata a tutto ciò che si presentava così assurdo e intricato, per una serie di insostenibili e inconvenienti circostanze, risultava per me al quanto difficile riuscire a desumere, in un contesto del genere, soluzioni che si rivelassero risolvibili.
Ad ogni modo, nell'immaginabile contenzioso di suddette dispute e questioni, erano principalmente due i fautori scatenanti di ogni mio intenso ed angosciante aggravo: i rapporti non certo amorevoli con colei che "ahimè" prese il posto di mia madre, e quindi la mia dolce, cara, adorabile "matrigna".
E l'indiscindibile, ineguagliabile, eccessiva mia timidezza.
Compagna fedele.
Ombra indivisibile.
Ininterrottamente appiccicata a me.
Incapace di abbandonarmi mai.
E se Agata rappresentava in assoluto il principio motivante di un malessere diffuso, era comunque il mio carattere chiuso e timoroso, il mio essere discreto, che mi rendeva spesso completamente apatica ed inerte.
Era la mia devota riservatezza, il mio fare demotivato, il mio esistere ansimante, la mia ansia crescente, che mi impediva di affrontare, nella maniera più consona e serena, qualsiasi itinerario che si prospettava percorribile.

L'Illusione di un padreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora