Capitolo 79

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Come era consuetudine,nonna, mia sorella Luciana ed io, partimmo per le solite ed abitudinarie vacanze a Terlizzi.
Nostra unica meta.
Stesse vacanze, stesso paese, stessi parenti, stessa gente, stesse facce, stessa monotonia..
Stesso di tutto.
E se nulla di tutto sembrava fosse cambiato, ero comunque io che apparivo o sembravo cambiata.
Avvertivo tale cambiamento e mi sentivo diversa.
Forse più grande, più forte, più sicura di me.
Non rappresentavo più quel brutto e desolato anatroccolo che triste e sconsolato si sentiva solo e differente dagli altri.
Inadeguato.
Al contrario.
Mi trovavo piuttosto carina, una fanciulla graziosa.
E non fui la sola a notarlo.
Lo notarono anche alcuni parenti, amici, cugini.
In particolare tre ragazzini che lavoravano come servienti presso il famoso bar-gelateria situato vicino casa di mia zia Angelina.
Uno di loro era il figlio del padrone.
Gli altri due, invece, servivano ai tavoli.
Incollati al mio essere timido, mi stavano sempre appiccicati.
Non si scollavano mai di dosso.
Accollati come assillanti sanguisughe, non mi davano pace.
Non mi davano tregua.
Dovunque io andassi, erano là.
In ogni dove.
Arieggiavano ovunque.
Non potevo uscire di casa, o varcarne la soglia, che immediatamente mi si avventavano addosso, tempestandomi di mille domande.
"Chi sei?"
"Come ti chiami?"
"Quanti anni hai?"
"Sei fidanzata?"
"Vuoi fidanzarti con me?"
Invadenti, ossessivi, insistenti.
Il loro modo di fare, di tentare un approccio, o di farsi vedere, mi infastidiva particolarmente.
Mi rendeva nervosa.
La loro irruenza eccessiva, il loro interesse sfrontato, mi turbava abbastanza.
Mi imbarazzava davvero.
Ero intimidita, confusa e preoccupata.
Tutto era per me nettamente difficile e complicato.
Come affrontare il problema?
Come rispondere alle loro intenzioni o alle loro provocazioni?
Ero seriamente combattuta.
Non sapevo se rivolgermi a nonna o tenere tutto per me.
Ma come potevo parlarne con qualcuno se di tale situazione mi vergognavo tantissimo?
Mi sentivo strana, stupida, sciocca e ancora così tanto bambina.
D'altronde non c'era nulla di male o di malizioso nel loro modo di agire.
Si trattava soltanto e unicamente di un corteggiamento carino.
Di un gioco innocuo e innocente.
Perché dovevo sfuggire da certe attenzioni particolarmente speciali?
Oppure scappare da banali atteggiamenti puramente infantili?
Avevo a che fare con tre ragazzini, tre giovin fanciulli che, per volere del caso, ironia del destino, avevano preso una cotta per me.
Marcandomi a vista.
Ma perché proprio me?
Tale corteggiamento non mi entusiasmava per niente.
Mi metteva a disagio.
Mi spaventava.
Mi rattristava.
Da sempre racchiusa nell'intimità del mio candido guscio, nessuno mai si era accorto di me.
Non mi aveva mai filato nessuno.

L'Illusione di un padreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora