Capitolo 23

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I giorni intanto trascorrevano felici, ma purtroppo le vacanze stavano per finire.
Con mio grande rammarico tutto sarebbe tornato come prima: le mure di casa, la scuola e i miei genitori al lavoro.
Il lavoro per mia madre era un problema che l'opprimeva seriamente.
Come agire? Come comportarsi? Qual era la cosa più giusta da fare per il benessere delle sue bambine?
Restare accanto a loro per godersele il più possibile, per gioire e compiacersi, con somma soddisfazione, delle loro mete e conquiste raggiunte.
Oppure abbandonarle, lasciarle alle cure di nonna, tutto questo, ovviamente, per necessità.
Questo conflitto l'inquietava molto, ma purtroppo non aveva altra scelta.
Lavorando in proprio e non avendo a disposizione la possibilità di assumere un garzone alle proprie dipendenze, era quindi costretta ad affidare a sua madre le sue figlie.
Per questo motivo la coglievi più volte triste, nervosa, silenziosa.
Nonna Lucia soffriva per l'agitarsi di mia madre e cercava di alleviarle le sofferenze aiutandola il più possibile in casa e sostituendola, nei migliori dei modi, alle cure e alle attenzioni che mia sorella ed io avevamo bisogno.
Non essendo assillata dal susseguirsi di problemi e pensieri, che di solito ogni lavoro comporta, nonna era quindi più paziente e disponibile nei nostri confronti, pronta sempre a sentire, ascoltare e a soddisfare tutte le nostre esigenze.
In poche parole ci viziava, come fanno in genere tutto i nonni del mondo.
Per questo motivo, era quindi per me naturale assumere un atteggiamento di totale indifferenza nei confronti di mia madre.
Ricordo che quando ritornava a casa, dopo una lunga e stressante giornata di lavoro, trovava sempre l'appartamento pulito e lindo.
Nonna Lucia era ben felice di prestarsi utile e premurosa, sia alle cure delle amate nipotine, sia alle cure dell'accogliente dimora.
Era felice se anche sua figlia Marisa lo fosse stato.
Così, per non appesantirla da altre fatiche, pensava lei a preparare il pranzo, la cena, a fare la spesa, a pulire, a rassettare le stanze, ovviamente il tutto nel limite del possibile.
E tutte le volte che vedeva la sua adorata figliola più stanca e affaticata del solito, si rivolgeva a noi esclamando:
"Mi raccomando bambine, non fate rumore. Mamma deve riposare".
Oppure:
"Rimanete in cucina con me! Non andate in camera di mamma. È stanca! Non dovete disturbarla".
E se mamma aveva da poco pulito, ci diceva:
"La mamma ha appena messo tutto in ordine. Cercate di non sporcare! Volete farla arrabbiare?"
Inconsapevolmente, tutte queste esortazioni, ossia di restare buone e tranquille in presenza di mia madre, non avevano fatto altro che costruire un muro elevato tra lei e me.
Per timore di innervosirla, irritarla, infastidirla o seccarla, difficilmente le andavo vicino per baciarla, abbracciarla o accarezzarla.
Sebbene avessi voluto avvicinarmi a lei, per coccolarla o farmi coccolare, involontariamente mi allontanavo da lei, facendola così soffrire tanto.
Ma di ben altre pene Marisa avrebbe sofferto.

L'Illusione di un padreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora