Capitolo 84

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Su di essi era prepotentemente inciso e marcato l'impronta estenuante di innumerevoli, interminabili, inevitabili, allucinanti sofferenze.
Flutto stillato da un concentrato sinistro, di un susseguirsi funesto.
Un aggregato di stenti, patemi, spasimi, patimenti.
Dei loro esseri, esili e fragili, mai nessuna nota melodica.
Nessun verso ossequioso.
Nessuna soave poesia.
Nessuna danza gioiosa dai loro piedi stremati.
Nessun volteggio armonioso dai loro corpi spossati.
E nessun canto sublime dai loro fiati smorzati.
Si intonava soltanto il risuonare perpetuo di un lancinante tormento, sintonia discordante di un unico eco, acuto e stridente, aggravato da un dilaniarsi crudele di un intrico di cori sconcertanti e sconvolgenti.
Solo flebili voci.
Singhiozzi strozzati.
Pianti sgorganti.
Lamenti laceranti.
Musica snervante per le orecchie di chi non vuol sentire.
Spettacolo indecente per pupille che non vogliono vedere.
Il più orrido e osceno teatro di uno scempio più ignobile ed indegno.
Terribile piaga spinosa di un ingiusto ed insano creato.
Nessun nome all'appello, ma solo parvenze impercettibili di fantasmi senza evo.
Ombre vaganti di sagome in pena.
Anime lise di un pesto martirio.
Forme sgrazianti di scomposte figure, segno evidente di un sconfinato sfacelo.
Essi non hanno storia, non hanno titolo, non hanno tempo.
Per chi predica il razzismo, per chi tendenzia al progresso, sono considerati soltanto un parziale frammento di numeri senza alcuna valenza, alcuna importanza, alcun interessante rilievo.
Ignorati da molti, ghettonati da alcuni, per chi è indifferente e insensibile non più di tanto li tollera.
Rappresentano l'aspetto più disgustoso e sgradevole di tutto ciò che viene convenzionalmente chiamato "genere umano".
Abbandonati, emarginati, defraudati di ogni dignitosa, rispettabile e ponderata autostima, postumi di tanto disdegno, meandro di altrettanto degrado, sono per l'attuale, moderna e avanzata società, una specie di massa obbrobriosa e degradante.
Biasimevole reliquia di un feroce e disumano calvario.
Designate più volte come presenze scomode e sconvenienti, ovvero parassiti fastidiosi di una già cagionevole, e tanto precaria, umana natura, vegetano essi come spiriti spenti, tra le viscere offuscate di luoghi lugubri e spaventosi.
Nessun barlume di luce, tanto meno un sottile spiraglio.
Neppure un accenno di gioia.
Un minuto di festa.
Una breve e controllata euforia.
Niente di niente.
Neanche quel mesto e sommesso sorriso che, seppure flebile e lieve, compariva ugualmente, naturalmente velato, sulle mie labbra contratte e dimesse.

L'Illusione di un padreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora