Steve
La notte era calata molto velocemente, la giornata invece sembrava non passasse mai. Non riuscivo più a lavorare, non riuscivo più a stare in quel posto. Per la prima volta in questi giorni lunghi, arrivando a oggi, volevo mollare tutto e non tornare mai più.
Lo sguardo di Cameron mi stava bruciando addosso, mi metteva timore, per quanto non glielo avrei mai dato a vedere, lui mi mette in soggezione.
A rifugiarmi nel BlackAngel anche per una sola mezz'oretta pensavo mi avrebbe dato sollievo, e invece lui è venuto anche lì.
Avrei voluto cacciarlo, mandarlo via, ma a cosa sarebbe servito? A niente, anche perché non ne avrei avuto mai il coraggio, dato che in realtà lo volevo proprio lì dov'era.
E forse, sono impazzito, sono uscito fuori di testa, "tu odi la gente" mi aveva detto, ma se gli dicessi che lui potrebbe essere l'eccezione? Anche se è assurdo e insensato, se gli dicessi che averlo vicino quasi mi piace?
E non è concepibile, non esiste, io sono quello dei tramonti, quello fatto di silenzi e prigioni mentali. Lui è mare, io sono vento, lui è sole, io luna, Cameron fa rumore, io distruggo esso.
Io faccio paura, lui tranquillizza, ma non me, non me che di questo ragazzo non so niente. Tranne che non gli serve il buio, è della luce che ha bisogno, proprio come me che la consumo, la coloro di rosso, per poi spegnerla senza accorgermene.
La notte è tenebrosa, sta piovendo, i tuoni rimbombano dalle finestre del mio appartamento, e i lampi colorano la mia stanza.
Chiudo gli occhi, non per paura. Sono malinconia e frustrazione a impossessarsi del mio corpo.
Un pugno, due, fino a sentire l'odore del mio sangue.
Mi sono appena spaccato le nocche.
"Il tramonto è la cura per gli inferi."
Gliel'ho detto sul serio, avrebbe potuto prendermi per pazzo, ma forse un po' lo sono. Solo, sperduto, un sopravvissuto insignificante.
Portami con te mamma, mostrami il paradiso.
Il sangue della mia mano mi ricorda quello di mio padre, del pugno che mi ha sferrato in pieno viso quella notte.
Katrine, bella, piena di vita, buona, sincera, gentile e sorridente. La mia mamma era splendente, una luce che pensavo di non riuscire a consumare, e invece ho finito per nutrirmi anche di quella.
"È colpa tua! Non servi a niente, sei solo un uomo a metà."
E io un po' di quelle parole mi ero convinto, ma non mi aveva fatto male, nemmeno picchiandomi. Io di mio padre non me ne facevo niente, non cercavo il suo perdono, non credevo più alla sua approvazione, io avrei dovuto perdonarmi, ma mai lo avrei fatto.
"Tu sei un uomo a metà!" Gliel'avevo detto.
E non me ne fregava che molto probabilmente mi avrebbe ucciso di botte, lui non mi avrebbe fatto più male, non mi avrebbe più offuscato la mente, a ridurmi a commettere altri sbagli. Altre scelte che mi avrebbero rovinato la vita ulteriormente.
Questa notte non ho dormito nemmeno, stava diventando un abitudine, forse perché l'anniversario che avrei voluto non arrivasse mai è alle porte.
Alle porte del mio cuore di ghiaccio e frantumato, del mio cervello scombussolato.
Il giorno dopo Cameron è seduto lì, ancora una volta, sembra che la spiaggia stia diventando il nostro punto d'incontro.
Solito posto, stesso sguardo di sempre, mi guarda come se fossi l'ottava meraviglia del mondo.
Se solo mi avesse conosciuto davvero.
«Ciao!» Dico solamente, sperando che basti.
Ha notato la mano avvolta da una fasciatura bianca, sposta il suo sguardo su di essa. Sul suo viso si forma preoccupazione, e poi mi guarda e si avvicina, forse anche troppo.
«Cosa hai fatto?»
Non rispondo, lo sorpasso. Ancora una volta mi afferra da un braccio...
Ti ripeto, non toccarmi.
«Allora?» Sembra arrabbiato, o preoccupato, ho sempre pensato che le due cose non sono molto lontane.
«Cosa ti importa?» Il mio tono è secco, gelido, non deve notare nulla in me, nessuna emozione, niente di niente.
«Se non mi importasse non te l'avrei chiesto, non credi?»
Non dovresti chiedere, Cameron a volte la verità fa più paura di una bugia.
«Perché dovrei dirtelo?» Mi libero dalla presa, mi avvicino a lui, proprio come Cameron ha fatto poco fa, anche di più.
Ed eccola che ritorna l'elettricità, non si vede, non si tocca, ma la percepisco troppo violentemente. Mi fa male, i cocci del mio cuore si smontano ulteriormente.
«Perché dovrei darti spiegazioni, tu non sei nessuno per me, Cameron, niente, tu non sei niente!» E molto probabilmente ho appena commesso un'altra delle mie stronzate, ma è solo così che riuscirò a farlo stancare di me, ferendolo, trattandolo male, e così andrà via dalla mia vita. E io mi pentirò di averlo fatto, ma non farò nulla per rimediare, perché dagli inferi non si può uscire, e lui non verrà con me.
E quindi non gli dirò più niente, andrò via, lui non parlerà perché non saprà cosa rispondere. Ma lui è Cameron, quello che non sta mai zitto, quello che si nutre di rumore e mare.
«Con me non ce la fai, Steve Williams, non funziona, mi dispiace. Con il tuo tono da duro, quelle occhiatacce inesistenti, sai forse dovresti cambiare tattica!» Sento la sua presenza dietro di me, l'elettricità, poi brividi, il suo respiro sul mio orecchio. Di marmo, è così che divento, impassibile, bloccato, non riesco più a muovermi.
«Sai forse dovresti accettare che qualcuno voglia parlare con te.»
Posso sentire il suo odore, i suoi capelli che sfioravano i miei, e posso giurare di sentirmi vulnerabile, non cosciente.
I cocci del mio cuore si sono sbriciolati, niente più frammenti che pulsano il mio petto. Per un momento ho dimenticato di respirare, e ho pensato solo a sentire quanto fosse buono l'odore di Cameron mischiato con il mio. Il suo aroma dolce, il mio amaro, e insieme quasi perfezione.
E tu? Tu l'hai sentito il battito del mio cuore?
STAI LEGGENDO
"L'Angelo e il Diavolo"
ChickLitE fu così che il diavolo s'innamorò dell'angelo, senza accorgersi che in realtà tutto quell'amore non l'aveva mai provato. Manipolato, avvinghiato a esso. Un po' come il diavolo prova a resistergli, abbagliato da quella luce che non ha mai visto. Un...