Un enigma cap. 16

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Steve

Pioveva, stava di nuovo piovendo, sembrava come se l'estate non fosse arrivata ancora. Quando in realtà domani a mezzanotte si sarebbe festeggiato il quattro luglio, non ero pronto a quei festeggiamenti, a sentire i fuochi d'artificio e la musica alta che infastidisce le mie povere orecchie.

Mia madre amava questa festa, lei ne sarebbe stata felice, e io per quanto la odiassi, amavo il modo in cui a mia madre brillavano gli occhi all'idea di festeggiare quell'avvenimento che tanto aspettava.

Sta piovendo e io sono in strada alle tre di notte, a piedi, fradicio da capo a fondo, da solo con i miei soliti pensieri per la testa.

"Domani è il quattro luglio, questo significa festa, perciò vedi tu che fare, Steve, però sappi che vorrei tanto che festeggiassi insieme a noi. Ci sono gli amici italiani, quel ragazzo a cui piacevi tanto, perché non gli hai mai dato nessuna possibilità?"

Diceva, mentre indossava quel rossetto rosso fuoco che metteva quando era di buon umore.

Io non mi sentivo molto a mio agio in realtà, nè con quel ragazzo, nè con gli amici provenienti dall'Italia. Mia madre questo lo sapeva, però ci provava sempre a farmi aprire con qualcuno.

Spesso e volentieri mi presentava nuove persone, mi portava in giro, mi comprava sempre il gelato, perché sapeva che io ne andavo matto.

Poi dopo averlo mangiato, ci chiudevamo dentro una libreria, sfogliavamo molti libri, e alla fine ne sceglievamo uno a testa, io lo regalavo a lei, e lei lo regalava a me.

Mia madre era la mia migliore amica, nessuno poteva competere con lei, mi è crollato il mondo addosso quando mi hanno dato la notizia.

"Tua madre non ce l'ha fatta."
Mi disse un medico con una freddezza assurda, e io non ho pianto, non ho urlato, non mi sono mosso dal letto però... non ho più parlato.

Ho pianto da solo, dopo il funerale, non appena ho realizzato che era vero, mia madre non c'era più.

Pensare che io quelle cose che facevo con lei non le ho più fatte. Mi sono chiuso dentro me stesso, e ho buttato la chiave. Non ho più vissuto veramente, sono solo andato avanti, senza alcun reale motivo.

Sto camminando sopra un marciapiede, con l'intenzione di rientrare a casa. Sono quasi arrivato alla porta, quando d'improvviso mi fermo, una macchina correndo a tutta velocità mi ha inzuppato di più di quello che in realtà fossi già, passando su una pozzanghera che tutto assieme si è svuotata su di me.

Porto i miei capelli zuppi all'indietro, mi asciugo il viso con la manica della mia giacca, mi rendo conto che la stessa auto di poco fa torna indietro.

Apre il finestrino, mi punta la torcia del cellulare addosso, poi capisco chi sia.

Cameron.

«Sei tu?»

Mi chiedo cosa ci faccia anche lui in giro a quest'ora. Se Cameron proprio come me, non riusciva a dormire per colpa dei pensieri, se anche lui si fosse girato e rigirato sul letto, per poi alzarsi a fare una passeggiata, o semplicemente ha appena finito di divertirsi chissà dove.

«Grazie per avermi praticamente bagnato del tutto!»

Scende dall'auto, fregandosene del fatto che si bagnerà, si avvicina a me guardandomi, e io guardo lui.

Inizia a bagnarsi, delle piccole goccioline d'acqua gli cadono sul volto. Ha gli occhi gonfi, sembra molto stanco, esausto. Solo Dio sa quanto vorrei accarezzargli una guancia, per poi chiedergli del perché sia così mal ridotto.

"L'Angelo e il Diavolo"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora