Quell'uomo cap.57

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Steve

"Dal momento in cui ti sporchi le mani di sangue, hai perso!"

Mia mamma mi ha sempre detto questa frase.

Da quando ancora non riuscivo a capirla.

Mio padre non è mai stato d'accordo dei modi educativi della donna che aveva affianco.

"Non ascoltare cosa ti dice tua madre. Con tutte quelle stronzate che ti inculca stai crescendo stupido..."

Me le ricordo bene le sue parole.

Eravamo in macchina, era venuto a prendermi a scuola.

E mi aveva appena difeso da un ragazzo che mi infastidiva parecchio alle superiori.

"È me che devi ascoltare! Non voglio vedere che ti fai trattare in quel modo. Sei mio figlio, sei un Williams, e i Williams si fanno rispettare!"

Il suo tono di voce mi metteva in suggestione.

Non aveva nessuna espressione facciale in viso.

Era impassibile.

Ma se avesse potuto mi avrebbe preso a schiaffi.

Stringeva forte il volante della macchina e di tanto in tanto serrava i denti.

Mio padre non mi ha mai messo un dito addosso quando ancora ero ragazzino.

Ha iniziato quando me ne sono andato via di casa.

Per l'esattezza avevo vent'anni quando per il quattro luglio mi aveva stretto forte il collo, fino a farmi quasi perdere il respiro.

Però nella mia adolescenza ho sempre avuto timore di mio padre.

"Hai le palle o no?" Aveva detto afferrandomi proprio dalle mie parti intime.

E poi aveva scansato velocemente la mano.

E io di tutte quelle parole... non ci stavo capendo nulla.

Ero troppo impegnato a provare paura.

E lui continuava a guardare la strada.

Sembrava nervoso.

Il suo pomo d'Adamo faceva su e giù, e le vene delle sue braccia scoperte pulsavano.

Vedevo il loro colore verdastro.

E io lo guardavo.

Cercavo di capire se mi volesse ancora bene.

E non lo vedevo, non vedevo più il papà che avevo conosciuto.

Come se quello che mi aveva mostrato da piccolo fosse una finzione.

"Perché non parli? Almeno mi hai ascoltato?"

E continuavo a starmene zitto.

E non appena i suoi occhi incrociarono i miei... avevo abbassato lo sguardo.

"Quando parlo con te esigo essere guardato!"

"Sì, ho capito papà..."
Avevo risposto sottovoce.

"Voce! E parla bene, mi sembra di averti insegnato a parlare!"

E io ero completamente terrorizzato da quell'uomo.

Avevo solo quindici anni, e già sapevo che mio padre non mi avrebbe mai accettato.

"Sì, ho capito!" Ripetevo, in un modo più deciso.

E lui era soddisfatto.

Quando eravamo rientrati a casa, mia madre non c'era.

Non volevo restare da solo con lui.

"L'Angelo e il Diavolo"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora