Capitolo 3

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Mi trovo a seguire di nuovo Jonath, stavolta giù per le scale. È stato più o meno come me lo aspettavo. Uomini vogliosi che mi scopano. È il mio lavoro che mi piaccia o no. Anzi, lui è stato più gentile degli altri clienti che ho avuto. Ha portato persino la vaselina. Arriviamo nell'ingresso del palazzo, dove ci sono quattro motociclette di fattura straniera che prima non avevo notato. Lui si avvicina a una di quelle e mi tende la mano.

"Ce la fai a salire?"

Ci provo. Montare in sella mi provoca una fitta di dolore che mi fa vedere le stelle. Stringo i denti, non voglio che lui lo noti. È finito il tempo in cui posso mostrarmi vulnerabile. Per stanotte ho già fatto abbastanza straordinari. Fatto sta che sono distrutto, avevo pensato di fare la strada a piedi, tuttavia un passaggio in moto non è da buttare via. Lui sale davanti a me, calcia il cavalletto e sfrecciamo via. Non gli ho ancora detto dove abito e comincio a pensare che non voglio farlo. Le vie dissestate del terzo distretto mi scorrono davanti agli occhi che fatico a tenere aperti, non fosse per il vento della notte che mi schiaffeggia la faccia piacevolmente e mi tiene sveglio. Jonath guida la moto sicuro di dove sta andando e io non ho la forza di alzare la voce per sovrastare il ruggito del vento e chiederglielo. Prima o poi dovremo fermarci, il terzo distretto non è immenso. A un tratto si ferma. Mi guardo intorno, siamo al pozzo.

Il pozzo non è solamente un buco rotondo scavato nel terreno. È un grande buco quadrato di dieci metri per dieci, a cui si ha accesso da larghi gradoni di pietra che scendono verso il fondo. Qui la gente del terzo distetto raccoglie le acque piovane. Dato che manca l'acqua corrente in casa il pozzo funge da bagno comune. Di solito la sera prima di cena è il momento che tutti preferiscono per venire a fare le abluzioni qui. A quest'ora di notte è deserto. Jonath smonta, poi capendo che non ce la faccio mi prende quasi in braccio per farmi scendere.

"Fatti il bagno, ti porto a casa dopo. Prenditi tutto il tempo che vuoi."

"Mi avete ridotto così male?" rido per sdrammatizzare. Lui no. La ruga in mezzo ai suoi occhi, di cui uno eternamente chiuso dalla cicatrice che lo attraversa, si acuisce. Non dice niente. Si appoggia alla moto con la schiena e senza guardarmi si accende una sigaretta. Non so perché proprio adesso mi salgono le lacrime agli occhi. Sospiro e mi volto verso il pozzo. Mentre mi spoglio di nuovo penso a Soru. Di solito è con lui che vengo qui, due o tre volte alla settimana, al pomeriggio. Non è solo per lavarci, giochiamo a inseguirci nell'acqua. Lui ride quando cerco di spruzzarlo e nuota molto meglio di me. In momenti come questo mi manca da morire. Mi sta aspettando a casa, è solo questo pensiero che mi aiuta a ricacciare indietro le lacrime. Mi immergo lentamente, cercando di pensare soltanto a lui, di ignorare ogni singola sensazione fisica che viene dal mio corpo. Alla fine mi lascio vincere dalla calma dello sciabordio del manto di acqua calda che mi avvolge. Con le dita descrivo larghi cerchi che increspano i raggi di luna. Mi lascio cadere, senza più pensare a niente. Mi immergo completamente, lasciando la luna di sopra ad aspettarmi con Jonath, sperando che vadano via, tutti e due, per poter restare da solo, finalmente. Ma i miei sogni non si avverano mai, ormai dovrei saperlo e smetterla di illudermi. Quando esco dall'acqua e risalgo i gradoni lui è lì che mi guarda, appoggiato alla moto. Mi infilo di nuovo i pantaloni e la maglietta sulla pelle bagnata, calzo i sandali e mi dirigo verso di lui. Jonath sorridendo mi strofina i capelli con uno strofinaccio tirato fuori da chissà dove.

Lo lascio fare, mormoro solo un: "Grazie." In fondo, il bagno è stato piacevole e ci voleva.

"Allora sono biondi. Sotto quello strato di polvere mi chiedevo di che colore fossero."

Lo guardo in faccia e di nuovo sento le lacrime pungermi gli angoli degli occhi. Lui mi passa il pollice sulla guancia, raccogliendone una che scivola giù. Ha un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso.

"Non sembri alcheriano. Da dove vieni?"

Alzo le spalle come per scrollarmi di dosso la domanda che non capisco. "Sono nato qui."

"Dove abiti?"

"Sotto la..." ci ripenso. Anche se è gentile non posso fidarmi di lui rivelandogli dove sto. È la prima cosa che mi ha insegnato Darius. Non portarti a casa i clienti, non fargli sapere dove vivi. Meno persone lo sanno e meglio è. Tutte le commissioni le prende lui comunque. "Portami da Darius."

Sfrecciamo di nuovo nelle vie del terzo distretto. Jonath mi aiuta a scendere dalla moto come ha fatto prima, anche se adesso il corpo mi fa meno male di prima. Al momento di lasciarci mi mette in mano duecento denari. "Il tuo extra. Non dirlo al tuo capo, mi raccomando." Mi strizza l'occhio buono. Un gesto strano da parte di uno che ha perso un occhio.

"Posso rivederti?" dice d'un fiato.

"Basta che ti metti d'accordo con Darius." Lui ha ancora quel suo sorriso che comincia a darmi sui nervi. "Senti però...se ci sono altre persone...dovresti dirlo a Darius e pagargli il prezzo pieno, non nascondeglielo e dare i soldi in mano a me. Per me va bene ma...se venisse a sapere che prendo soldi a parte potrebbe anche ammazzarmi, capisci?"

Lui è un po' stupito.

"Vuoi dirgli cosa è successo?"

"No, ma potrebbe venire a saperlo lo stesso. Qui nel terzo distretto anche i muri hanno orecchie." Mi guardo intorno, sperando di non avvistare una sentinella che confermi le mie parole. Sembra che non ci sia in giro nessuno. La serranda del garage di Darius è chiusa, come sempre e la porticina da cui vi si accede sprangata. Solo un corvo appollaiato su un palo, che un tempo trasportava elettricità, insiste col suo verso, spostandosi da una zampa all'altra, come se potesse gracchiare via la notte.

"Scusami", si affretta a dire Jonath: "Non era mia intenzione crearti problemi e grazie per... hai capito."

Mi stringo nelle spalle. La stanchezza mi appesantisce le palpebre.

"Hai pagato."

Jonath inforca la moto tra le gambe e se ne va e io riprendo a respirare nel modo normale. Camminando verso casa non riesco a pensare a niente. C'è una parte di me che è fiera di lavorare e potersi permettere di comprare il cibo migliore dallo spaccio, e una parte che mi odia e mi schifa così tanto, che non riesce a perdonarsi per quello che faccio quasi tutte le sere. Ma anche la parte che mi odia deve ammettere che sto guadagnando bene. Io e Soru stiamo mettendo da parte quello che non spendiamo in cibo e tra qualche mese avremo abbastanza soldi per realizzare il nostro sogno.

A casaSoru dorme già, steso nel nostro letto. Sono mesi che cerco un altro materassonelle discariche senza successo. Lui mi dice che non gli dispiace dormire conme, non immagina neanche che a volte, specie ultimamente,ora che il suo corpo èdiventato più adulto, per me sia difficile non avere strani pensieri. Mi passouna mano sui capelli umidi e lo guardo. Sembra un angelo accarezzato dai raggilunari che filtrano dalle persiane di legno. La visione, nella sua purezza,stasera non basta a tenere a bada la mia libido. Penso di stendermi accanto alui sul materasso, toccarlo, vedere se si sveglia, ma poi non ho il coraggio.Me ne vado fuori sul portico, ovvero lo spiazzo sotto la sopraelevata, cheripara la nostra cucina dalla pioggia. È davvero enorme, e a quest'ora di notteanche silenzioso. Le nostre vicine di casa Shereen e Puri staranno dormendonella loro stanza ricavata da un garage, dall'altro lato della strada, sotto ilcavalcavia mezzo crollato. Hanno la serranda chiusa. Puri per rendere il postopiù vivace l'ha colorata con la vernice spray. La grossa faccia gialla che hadisegnato mi sorride da lontano. Sorrido e distolgo lo sguardo. Soru hasistemato il pneumatico che abbiamo trovato oggi insieme ai cuscini a mo' didivano, sembra molto invitante. È stata una lunga serata. Non ho neanche piùfame. Mi ci accoccolo sopra e lascio che il sonno si impadronisca di me.

Alcherian Boys --(Distopico, Sci-fi, Gay, R-17)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora