✯☆‿➹⁀☆☆ Capitolo 90 ✯☆‿➹⁀☆☆

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Alinai continua a fissare Kain negli occhi da lontano, per tutto il tempo, come se l'ultima immagine che vuole portarsi nell'aldilà fosse la sua espressione atterrita, mentre la lama di Uriel le recide la carne della gola.

Non riesco a muovermi. Non perché non lo voglia. C'è una forza superiore che me lo impedisce. Nella folla che mi si accalca intorno percepisco il generale Raphael, mio padre, venire sospinto verso di me dai sacerdoti e i soldati che hanno smesso di combattere, gelati dalle urla di Uriel. Più in basso, nella boscaglia di gambe, scorgo Balthazar, il soldato di Soru, che si china di più su di lui, per proteggerlo col suo corpo, anche se ormai è inutile. Devo estrarre la pistola da dietro la schiena. Devo sparare a Uriel e salvarla. So cosa vorrei fare e sono ben consapevole che non ne sono capace. La mia mira fa schifo. Figuriamoci da quella distanza. Potrei scattare verso di loro ma sono troppo lontano, finirei soltanto per travolgere i sacerdoti e non farei comunque in tempo. Strano, quanti pensieri mi passino per la testa nel giro di un battito di ciglia. Non ho bisogno di guardarmi indietro, per immaginare Olivia che sta ancora urlando da prima. I tamburi tacciono, i grugniti della lotta sfumano in un silenzio innaturale. Tutti gli occhi sono puntati sul generale Uriel, in piedi in cima alle scale, che sta facendo scorrere la lama, con lentezza, sulla gola di Alinai e mi piomba addosso in un istante la mortificazione di non essere riuscito a proteggerla comunque.

Poi all'improvviso la testa del generale schizza all'indietro. Tutti trattengono il fiato. Quando rimbalza di nuovo in avanti mostra per un millisecondo il foro di proiettile che l'ha centrato proprio in mezzo agli occhi. Un colpo impossibile. Eppure il generale molla la presa al coltello, che si schianta sul pavimento con un tonfo. Il proiettile l'ha raggiunto con una precisione millimetrica; volando nella foresta degli innocenti e degli altri soldati che lo separavano dal suo obiettivo. Il generale Uriel cade come un sacco di patate, trascinando giù Alinai, ma è soltanto il suo corpo che rotola in fondo alla scalinata. Dalla sala di sotto si leva un coro di strilli terrorizzati delle sacerdotesse.

Jacob abbassa il braccio sinistro senza rinfoderare la pistola, afferra Kain per il gomito e gli dà uno spintone, indicandogli con un cenno brusco la cima della scalinata, dove Alinai, che chissà come è riuscita a rimettersi in piedi, sola e confusa nel marasma dei soldati e gli zingari che sono accorsi a dar loro battaglia, si porta una mano tremante alla ferita e barcolla. Cerca Kain tra la folla, ma ormai il caos è scoppiato di nuovo. "Vai!" sibila Jacob, mentre il sordo comincia a riaversi dallo shock, e lo spinge in avanti. Kain prende a correre, scansando e spintonando per farsi strada verso il punto dove Alinai è caduta in preda alla vertigine. Mentre si muove, disperato, emette rantoli inarticolati dalla gola, che somigliano vagamente al nome della ragazza.

I soldati che facevano cordone davanti alla scalinata cercano di spingere indietro i giudei, che si sono uniti agli zingari e sotto le direttive di Dimash, li stanno accerchiando. Vorrei girarmi a guardare Olivia. Adesso, è il momento. Sparagli, adesso. Distruggilo, metti fine alla dittatura per sempre. Ma non può. La sento sospirare di sollievo, e tuttavia non può sparare al Presidente Colonnello.

Lo Sciamano senza Nome ha preso una decisione.

E non è in nostro favore.

Il Presidente, con un grido di guerra, si lancia verso una delle statue guerriere che decorano le colonne della sala, agguanta con forza una scure, la stacca dal supporto e si volta, brandendola verso Olivia. La donna non può muoversi. Lo vede arrivare ma non reagisce. Sento la rabbia crescere, insieme all'impotenza e l'impellente bisogno di toccare Dimash, pascermi nel torpore rassicurante della mia fonte di pace, perché sono al limite. Rischio di impazzire. E sono lei.

Vedo la scure abbattersi su di me, l'uomo che conosco bene, che un tempo rispettavo e amavo; l'uomo che tutte le notti, seduta nel comparto tra due vagoni di un treno, aspettavo che mi aprisse la porta, per farmi entrare nel suo mondo. Chiudo gli occhi e risento la sua musica, quella che emanava dal corno del grammofono. E riconosco la canzone. Tutte le sere. Era la stessa tutte le sere che mi voleva invitare. Poi quella sera sedevo al freddo, quando anche l'ultimo filo di fumo del suo sigaro era scivolato sotto la porta.

Pensavo che fosse andato a dormire, e la speranza era quasi esaurita ma non ancora, perché la luce del suo vagone personale era accesa. Lui era lì dentro, pensava, aspettava. Forse rifletteva su di noi. Forse quella notte non sarei stata un cane, che si addormentava seduta al freddo, aspettando un cenno del padrone. Ero un semplice soldato. Vivevo per servire. Il mio Colonnello, il mio mentore, il mio...

Non ebbi il tempo di finire il pensiero. La porta di ferro si spalancò. Lui si stagliava su di me dall'alto, con la luce lunare che filtrava tra i vagoni a disegnare ombre sinistre sul volto familiare. Puntò la pistola con l'impassibilità che di lui non conoscevo e guardandomi negli occhi, senza ombra di rimorso, mi sparò. Mi uccise.

Il ricordo svanisce. Rabbrividendo dalla testa ai piedi ritorno in possesso del mio corpo della mia coscienza. Yumireu impreca nella mia testa. Anche lui ha sentito tutto come me. Non è la prima volta che la memoria di Olivia gli invade la mente. Lui ha già sentito, già vissuto queste cose. Conosce la storia. Ma la brutalità di quei fatti lo travolge ancora come se fosse la prima volta.

"Non potete ammazzarmi!" grugnisce il Presidente, sollevando la scure, pronto a gettarsi su Olivia. "Sono il vostro dio!"

Il battito del mio cuore aumenta, diventa sempre più forte, più rumoroso, martellante, e capisco che non è soltanto il mio, che sto percependo. Olivia, Yumireu, io. I nostri cuori battono all'unisono. Legati da un filo invisibile e incatenati insieme dalle rispettive paure, memorie, traumi.

Olivia conosceva il Presidente. Lo rispettava. Lo amava. Non si sarebbe aspettata da lui quello che le ha fatto. È per questo che inorridisco mentre la visuale in prima persona mi mostra la mano che abbatte la scure su di me, il volto dell'uomo distorto in una smorfia brutale. Io sono lei e rassegnato mi preparo al dolore, come anche Yumireu, ovunque si trovi. Invece tutti e tre ci sentiamo sfilare la pistola, dimenticata, dalla fondina che ho dietro la schiena, vediamo il braccio che si alza nell'aria, sentiamo lo sparo.

"Sarai anche il loro dio, Malak. Ma non sei mai stato, e non sarai mai, il mio." ringhia Raphael, al mio fianco, e gli spara ancora. Il Colonnello si piega all'indietro. Trema la mano con cui si stringe la casacca sporca di sangue, all'altezza dello stomaco, e nello sguardo già appannato dell'uomo passano tutte le sfumature dello sconcerto.

"Che cosa... hai fatto?" sibila.

"Quello che avrei dovuto fare vent'anni fa."

Spara, ghiacciandomi il sangue. Una, sussulto, due volte, sussulto e la saliva mi blocca il respiro. Sbatto le palpebre e vedo Malak accasciato sul pavimento. Ha le gambe ripiegate da una parte, gli occhi sbarrati rivolti al cielo, forse stanno cercando il dio di cui, con la cerimonia dello schiaffo, si è appena confermato rappresentante in Terra.

Mi giro di scatto, sicuro di incrociare subito lo sguardo di Dimash. Lo zingaro ha smesso di combattere. Le spalle si sollevano e si abbassano ritmicamente con il suo respiro. Intorno a lui i soldati governativi sembrano scioccati. C'è chi è stato spinto in un angolo dagli zingari, chi si arrende alzando le mani, chi indirizza ringhi e smorfie al nemico. Non sanno che fare. In attesa di ordini dai superiori, restano in posizioni di difesa, ma non attaccano; non si capacitano di ciò che è appena successo davanti ai loro occhi. Dimash mi sorride da lontano e per un istante penso quanto sia bello. Mi si scalda il cuore perché mi rendo conto che avevo perso le speranze che stanotte avremmo dormito abbracciati.

Sposto lo sguardo sul Generale Raphael, mio padre, che dimentico dell'uomo che giace ai suoi piedi, sta fissando me. I tratti duri della faccia si accigliano all'improvviso e nello stesso istante sento una corrente elettrica che mi attraversa. So che colpisce anche Olivia, in piedi a qualche metro da me. Non dobbiamo nemmeno guardarci per capire che sta per travolgerci. Poi uno strillo straziante ci esplode nelle orecchie e vediamo tutto bianco.

Soru non c'è. Il falò è spento. In mezzo alla savana c'è un bambino che non la smette di gridare.

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Grazie perché seguite la storia!! Alcherian Boys sta per concludersi (tra qualche capitolo) e anche se in questo periodo vado un po' a rilento, continuate a incoraggiarmi e sostenermi con le stelline e i vostri commenti. Mi danno sempre un sacco di energia!


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