Raggiungo il tendone degli zingari sul calar della notte. Lo spettacolo di teatro sta finendo. Hanno acceso dei fuochi sotto il palco e in altri punti strategici della piazza, un po' per illuminare la scena, un po' per scaldare la folla che assiste all'ultimo atto. Non che ad Alchera ce ne sia un gran bisogno, in estate. È dalla brezza, che sceglie un giorno a caso per raffreddare d'improvviso le notti, che ti accorgi che siamo entrati in autunno. I giorni non sono mai freddi, ma le notti, nel clima desertico, possono diventare gelide.
C'è meno gente dell'altra volta. I pochi avventori guardano verso il palco, incantati da una danzatrice del ventre coperta di veli, che si muove sinuosa sulle assi di legno scricchiolanti, agitando due spade. Passo oltre. Di solito viene sempre Soru a trattare con Kala, la conosce. Per qualche motivo, però, penso che non mi va di fare il suo nome con lei. In fondo è solo uno dei tanti a cui la madre degli zingari vende le sigarette di contrabbando e non credo mi servirebbe a qualcosa.
Dietro le quinte c'è una stanzetta di legno. Devo scostare un pesante tendone per entrare. Lì dentro sembra un magazzino. Ci sono talmente tanti oggetti sparsi intorno da far girare la testa. Fornelli, tavolini, sedie, lampade ad olio, tappeti, attrezzi di scena come parrucche e spade finte ammassati in due enormi ceste e seduta davanti allo specchio, una signora di mezza età mi da le spalle. Si sta truccando gli occhi col kajal. Due ragazze zingare quasi mi travolgono passandomi di fianco. Continuano a chiacchierare, senza neanche notarmi, ed escono da una porticina a lato della stanza, che prima non avevo notato.
La signora, che ha finito di truccarsi, si gira e mi rivolge un'occhiata severa. "Non si può entrare dietro le quinte. La prego di uscire."
Resta seduta, accavalla le gambe sotto gli strati di gonne colorate portate una sopra l'altra e si aggiusta i lembi della camicia dentro il bustino. Ha lunghi capelli neri tipici delle alcheriane, i suoi lineamenti rugosi, che hanno un non so che di straniero, sono arsi dal sole, che ha reso le sue lentiggini scure, ma i suoi occhi, neri e vispi, che mi scrutano, sono quelli di una bambina. Mi faccio coraggio.
"Non sono qui per lo spettacolo. Voglio Madame Kala."
"Vuoi me? Ragazzino, non credo di essere alla tua portata. Voglio dire, sei belloccio, ma a me piacciono gli uomini maturi."
"Non scherzare." Stringo i pugni. "Tuo nipote mi ha detto che puoi farmi uscire dal terzo distretto."
"Mio nipote chi?"
Come si chiamava il soldato con la maschera antigas? Forse mi aveva detto una cazzata e Madame Kala non era affatto sua zia. Forse non aveva fatto altro che prendermi in giro. Maledetto. Oppure, beh, non ho altra scelta che dire la verità. Sono qui per questo, è l'unica strada che mi è rimasta, devo convincere Kala per forza. Cerco di ricordarmi il nome del soldato, spremendomi le meningi. Jonath una volta me l'ha detto come si chiamava, un nome alcheriano, perché anche se zingaro, è nato qui ed è un mio compaesano.
"Tuo nipote Dimash. Mi ha detto che mi avresti portato fuori. Ho bisogno di vedere il suo capitano."
Madame Kala erompe in una risatina che la rivela come gran fumatrice e subito dopo, in effetti, si accende una sigaretta e si rimette a sedere al posto di prima. Si sistema le gonne prima di guardarmi di nuovo.
"Dimash non direbbe mai una cosa del genere."
"Giuro che l'ha fatto. Ha detto che mi avresti infilato in un tappeto e portato via di qui, se te l'avessi chiesto per favore."
Sorride con un angolo della bocca.
"E tu non l'hai..."
"Ti prego..."
La mia espressione disperata deve averla sorpresa. Dopo un lungo silenzio, in cui passiamo il tempo a studiarci, Kala annuisce e dice gravemente, in tono pratico: "Se Dimash ti ha promesso questo, allora di certo ti ha detto anche la nostra parola d'ordine e tu puoi ridirla a me."
"Di che stai parlando?"
"La parola d'ordine degli zingari, bello. È una parola della nostra lingua che tramandiamo di generazione in generazione. Come faccio a fidarmi di te? Se mio nipote non ti ha dato quella parola, significa che non si fidava lui per primo. E io dovrei biasimarlo? Vattene ora, ho da fare."
Penso, freneticamente, alla conversazione che abbiamo avuto davanti al palco, due giorni prima. Ho conosciuto troppo poco il ragazzo con la maschera antigas perché mi rivelasse una qualsivoglia parola segreta. Rivedo nella mente il teatrino dei cloni, il suo modo amichevole di rivolgersi a me, la maschera che si è sganciata ed è scivolata giù scoprendo il buco nella sua guancia che lasciava intravedere i denti e la lingua. Non riesco a ricordare nulla che somigli vagamente a una parola d'ordine. Kala mi guarda con le sopracciglia sollevate, con la mano mi fa cenno di andare via.
"Viator" mormoro a occhi bassi.
È quello che era scritto sulla boccetta di kajal che mi ha regalato Dimash, è l'unica parola che non conosco, anche se forse è veramente soltanto una marca straniera e pronunciarla ad alta voce mi fa sentire stupido.
Kala si alza dalla sedia, sollevando le gonne con le mani, come se a un tratto fossero divenute d'intralcio. Dall'espressione diffidente che ha adesso, direi che l'ho colpita. Faccio un passo avanti e lei, senza parlare, mi viene incontro. Uno scroscio di applausi prorompe fuori dalla casetta. Voci, risate; i rumori giungono fin qui attutiti dalle pareti di legno. Kala, in piedi davanti a me, mi osserva, come se solo ora mi vedesse per davvero.
"Figliolo, che hai fatto alla faccia?" prima che abbia il tempo di protestare mi prende la testa tra le mani, mi abbassa le palpebre, per guardarmi le sclere degli occhi, poi il labbro dolorante osserva la gengiva gonfia. Mi fa un attento esame con gli occhietti neri luccicanti da bambina e una ruga da vecchia tra le sopracciglia corrucciate. "Ti hanno ridotto proprio male."
Distolgo lo sguardo, sentendo affacciarsi di nuovo le lacrime. A parte Soru, nessuno si cura di come sto, specialmente gli adulti, e mi fa male sentire quelle parole da una donna appena conosciuta. Devo farmi forza perché in questi giorni tendo a piangere troppo spesso. Kala mi prende una mano tra le sue, la gira e comincia a osservare il palmo. Annuisce e poi sembra prendere una decisione.
"Tornerai come nuovo con qualche medicina, dirò a mia figlia di andarle a prendere, ma prima rispondi a una mia domanda: perché vuoi fuggire da qui?"
"Ti sembra un bel posto per vivere?"
Kala sputa per terra e prende una boccata dalla sigaretta.
"Io faccio le domande, tu rispondi. Capito?"
Opto per una mezza verità per non parlare di Soru. Non voglio rispondere a nessuna domanda su di lui, nessuna ramanzina su quanto sia stupido mettersi a cercarlo in una città così grande e senza alcun indizio da cui partire. Non voglio neanche parlare dei cloni. Di certo Kala ne sa molto più di me a riguardo e chissà che effetto farebbe se le comunicassi la mia decisione di diventarlo.
"Voglio unirmi all'esercito del regno di Giuda, come tuo nipote." Mi sembra la cosa più zingara da dire. "Liberare il paese dalla piaga della dittatura una volta per tutte."
Mi trema la voce, e da come mi guarda con sospetto, non credo che se la beva. Kala spegne la sigaretta schiacciandola sul tavolo davanti allo specchio e, scostando la tenda con la mano, senza distogliere lo sguardo da me, chiama qualcuno. Dopo pochi secondi che ci squadriamo io e lei senza dire nulla, arriva una ragazzina tutta pelle e ossa masticando una radice di liquirizia. Da com'è vestita, si direbbe la copia di Kala con vent'anni di meno.
"Che c'è, ma?"
"Marlee, fai lavare questo tizio, poi portalo a fare le sue ultime commissioni. Domani mattina viene con noi."
"Ma... !"
"Niente discussioni."
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Alcherian Boys --(Distopico, Sci-fi, Gay, R-17)
MaceraAxer, appena diciottenne, vive con Sorush, il suo migliore amico, per cui ha una cotta segreta. Si prostituisce per mantenere entrambi e deve guadagnare abbastanza soldi per il passaporto che gli permetterà di entrare nei distretti alti e cominciar...