[2] Noi siamo fighi, come te!

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La giornata di scuola si svolse nel modo più normale possibile.

C'erano le ore di lezioni da seguire, qualche test da svolgere già a ottobre, ma nulla di impossibile, gli allenamenti con le cheerleader dopo pranzo e poi si tornava a casa in tempo per stare con la famiglia.

Una cosa, però, era successa.

Justin era andato a parlare dal signor Porter, il nostro psicologo della scuola, lui lo chiamò ed io rimasi sorpresa.

Perché Justin? Capii che fosse per Hannah, il ragazzo erano settimane che non si cacciava nei guai, nonostante in quello lui fosse bravissimo.

Se aveva chiamato lui, presto sarebbe arrivato a me o Jessica... Se sapesse delle cassette? Non sapevo come, dovevo chiederlo a Justin.

Lo stesso Justin che non rispondeva al telefono oppure ai miei messaggi, come se fosse sparito, e non era la prima volta.

A volte spariva e tornava, ma almeno mi scriveva, adesso non lo faceva.

Perché? Perché tagliarmi fuori se io ero la prima a occuparmi sempre di lui? Quella situazione non stava stretta solo a lui.

"L'ho chiamato circa venti volte, nulla. Quando fa così lo odio" affermai chiudendo il mio zaino e andando verso l'uscita con Jessica che aspettava Andreas.

"Vedrai che si farà sentire, domani sei la sua cheerleader per l'apertura della stagione del basket".

"Lo so, e sa che ci tengo particolarmente. Come so che lui tiene al basket, ha la borsa di studio assicurata, se la perde deve dire addio a tutto..." dissi io preoccupata, Jessica annuì.

"Vedrai che si farà vivo, sono maschi, anche Andreas a volte lo fa e non lo sopporto" sorrisi.

"Ma noi non siamo fidanzati".

"Si, certo" disse lei ironizzando.

"Jess, te lo direi".

"Si, ma é come se lo foste. É gelosissimo, so che lui tiene a te e tu tieni a lui, si vede. Dai che ti richiama. Andiamo da Monet?" mi domandò, avrei tanto voluto.

"No, passo a prendere le tre pesti e mi racconteranno qualsiasi cosa" lei annuì.

"Non vorrei essere al tuo posto".

"Non dirlo a me, non vai con Andreas da Monet?" le chiesi, stavamo aspettando che finisse di allenarsi.

"Gli dissi che volevo un pomeriggio solo tra donne, ma mi accontenterò di lui. Va bene, scrivimi o chiamami per quello scemo" annuii, la abbracciai prima di prendere le chiavi della macchina.

La mia scuola non era molto lontana dalla scuola media frequentata dai miei tre fratelli minori, Daniel e i due gemellini, Tiffany e Theodore, chiamato da tutti Theo.

Ogni giorno ero io a portarli a scuola e andarli a prendere, ogni giorno ero io a badare a loro sempre. Perché?.

I miei fratelli maggiori frequentavano l'università lontano, in Arkansas, e tornavano massimo una volta al mese, non di più.

Loro si erano presi cura di me quando ero più piccola, ora toccava a me con i più piccoli.

Perché i miei genitori non c'erano? Loro esistevano, lavoravano tutto il giorno e la sera volevano solo riposarsi, il che volesse dire stare chiusi in camera a fare sesso incuranti di avere quattro figli in casa e a volte sei.

Non erano cattivi genitori, ma non sapevano come badare a dei ragazzi o dei bambini, e non avevano solo due figli, ma ben sei.

Mantenevano tutti e sei, molto bene, entrambi provenivano da famiglie ricche e lavorando con i Baker facevano abbastanza soldi.

NOI DUE NON SAREMO NIENTE; Justin FoleyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora