25. Daniel

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Ho bisogno di bere.

Un'altra solita giornata stressante.

Spengo la luce dello studio e scappo dall'università.

È quasi sera ormai. L'aria si fa sempre più fresca e pungente.

Mi giro intorno al collo la mia sciarpa verde militare.

Sto diventando sempre più cagionevole.

Non hai più l'età.

Già.

La voglia dell'oblio oggi è più forte che mai, non riesco ad aspettare di arrivare a casa.

Proseguo lungo il viale che costeggia l'università e mi dirigo verso il mio bar di fiducia.

Perché le saracinesche sono giù? É chiuso? Strano, di venerdì sera.

Mi avvicino per capire meglio e solo ora leggo il cartello:

"Chiuso per lutto".

Dio, mi dispiace.

Lutto.

Lo conosco troppo bene il peso che quella parola si porta appresso. Peso che ti schiaccia e ti lascia inerme sotto tutte quelle macerie che ti cascano addosso.

Le macerie del tuo mondo che si rompe.

Quello che si è rotto quando ho lasciato mia moglie e lei si è tolta la vita.

Quando l'ho uccisa.

«È chiuso da ieri, se ne è andato il padre di uno dei proprietari», a voce di un passante mi riporta alla realtà.

«Cavolo, mi dispiace. Non lo sapevo.»

«Già. Cose che succedono. Se vuoi ti consiglio il bar dalla parte opposta della via. È buono e le cameriere sono molto carine» dice, sorridendo maliziosamente.

Che viscido.

«Ti ringrazio, ci farò un salto.»

Lo saluto con un cenno della mano e mi incammino verso questo bar.

Non me ne importa niente delle cameriere carine, io ho solo un fottutissimo bisogno di bere, dannazione.

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