149. Cloe

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Lo sapevo.

Sapevo che lo avrei allontanato. Come mi è venuto in mente di tirare fuori la storia della depressione?

Cazzo.

Sono una stupida.

Stava andando tutto così bene.

Una settimana. È una fottutissima settimana che non si fa quasi più sentire. Dice di avere molto da fare con l'università, ma non ci credo. Non vuole dirmi la verità. Non vuole dirmi che l'ho spaventato. Dopo aver vissuto quasi il doppio della mia vita e dopo aver perso anche la moglie non credo si aspettasse tutto questo mettendosi con una ragazza di trent'anni più giovane. Bambino. Magari voleva solo ritrovare quell'ingenuità e quella spensieratezza che negli occhi miei riusciva ancora ad intravedere. Ed io invece gli sono corsa incontro addossandogli altro peso. Il mio peso. So badare a me stessa, l'ho sempre fatto. Ho dovuto affrontare tutto da sola per forza. Vorrei che lui capisse questo. Non mi deve niente. Non deve cambiare nulla tra noi. Non deve trasformarsi nel mio badante, non ne ho bisogno. Voglio solo che mi ami come ha fatto fino ad ora, senza che nulla cambi.

Devo chiamarlo. Devo chiedere di vederci. Non posso più aspettare. Voglio sentirlo ancora tra le mie braccia e dirgli che non deve preoccuparsi per me, che non è quello il suo compito. Non ha alcuna responsabilità nei miei confronti.

Guardo il cellulare. Le 22.00. Spero che non stia già dormendo.

Non posso più andare avanti così.

Digito il suo numero e aspetto.

Eccola.

Il cuore mi solletica.

Dopo una settimana e svariati squilli, sento il suono della sua voce.

Mi era mancata profondamente. 

LA LUNA SA ASPETTAREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora