109. Cloe

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Vorrei fermare la pace di questo momento.

Finisco l'ultimo trancio rimasto e mi giro a guardare lui. Lo guardo senza dire nulla. Gli sorrido. Lui ricambia il sorriso e vedo i suoi occhi diventare lucidi.

Ha sofferto. Lo so. Lo sento.

Quel dolore che gli ho visto dentro il primo giorno che i nostri occhi si sono incontrati.

È lì. Lo percepisco.

Ha perso la moglie. Ha perso una persona che amava.

Non so cosa si prova, ma nel guardare quegli occhi una morsa mi stringe il cuore. Vorrei sapere cosa dire. Vorrei stargli vicino. Riesco solo ad allungare la mia mano verso di lui e a stringere la sua. Senza pronunciare una parola, si avvicina la mano alla bocca e mi stampa un bacio dolce.

Un bacio che sa di comprensione. Di cura.

Poi lascia la presa e si alza. Prende qualcosa dalla borsa e si mette seduto sul suo telo, steso accanto al mio. Non riesco a vedere cosa tiene tra le mani.

«Questo è per te», mi porge un taccuino.

Un taccuino con "La notte stellata" di Van Gogh.

Non so cosa dire.

«Non so perché tu abbia smesso di scrivere, ma spero questo possa aiutarti».

Una lacrima mi scende sul viso.

Vorrei dirgli tutto. Vorrei togliere ogni mia maschera e mostrargli il volto della depressione. Ma non ci riesco. Il terrore di farlo scappare mi paralizza.

Rimango muta, con il taccuino tra le mani, accarezzandone la copertina e sfogliandone piano le pagine vuote. Pronte per essere riempite di parole. Di emozioni. Mi manca dannatamente posare la penna su un foglio e lasciare che il cuore scriva per me.

«Grazie davvero...non so cosa dire.», dico con voce rotta.

«Non devi dire nulla, magari potresti scriverlo tra quelle pagine, tutto quello che hai dentro».

«È da così tanto tempo che non scrivo...» inizio.

Credo di volermi aprire. Sento di voler condividere questo mio blocco nella scrittura. Ma non tirerò fuori la depressione, non ancora. Anche se la colpevole principale è proprio lei. Lui non dice nulla. Non mi fa alcuna domanda. Rimane in silenzio, stringendomi la mano e aspettando che io prosegua.

Prendo un respiro profondo e guardo il mare.

«Sono sempre stata troppo critica con me stessa. Non sopportavo più il fatto di scrivere qualcosa e poi finire per odiare le mie stesse parole. Tutto ciò che leggevo da altri sembrava migliore di quello che potevo comporre io. Tendenzialmente sono una persona che si auto sabota. E ci riesco sempre, credimi.»

La presa della sua mano intorno alla mia si fa più stretta.

«Forse hai solo bisogno di qualcosa che ti ispiri davvero e che non ti faccia pensare alle parole che usi, ma solo alle emozioni che scrivi. Spero che questa giornata al mare possa aiutarti»

Lo guardo e gli sorrido. Forse potrei provare a scrivere di lui.

Di noi.

Forse questo tremore nello stomaco significa qualcosa.

«E saresti tu la mia ispirazione?», gli dico sorridendo per alleggerire l'atmosfera.

«Beh, quale maggiore musa ci può essere di una giornata al mare con un professore d'arte così affascinante?»

Così dannatamente bello e gentile.

Rido.

Mi alzo dal mio telo e mi siedo accanto a lui. Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio forte.

Forte e in silenzio.

«Grazie.»

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