77. Cloe

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Mi siedo a tavola e aspetto.

Lui è in cucina a finire di preparare la pasta.

Mi sento a mio agio, ho riacquistato il controllo sulla situazione, ma i brividi lungo la schiena ogni volta che mi parla, quelli non se ne vanno.

Ha apparecchiato il tavolo in modo semplice e minimale, mi piace.

Lo sento armeggiare con i mestoli.

E poi eccolo, dietro di me, con la padella in mano.

«La cena è servita, signorina», dice servendo delicatamente la pasta nel mio piatto.

Wow, ha un aspetto delizioso.

«Devo dire che l'aspetto alza di molto le aspettative», rispondo provocandolo.

«Spero allora che siano soddisfatte», risponde mentre finisce di riempire anche il suo piatto.

Poi torna in cucina a riposare il tutto e finalmente si siede.

«Buon appetito, Cloe», sento una scossa ogni volta che pronuncia il mio nome.

«Buon appetito, Daniel»

Soffio delicatamente sulla pasta e mi preparo all'assaggio.

Wow.

«Mmh, è deliziosa davvero! Complimenti», sono realmente stupita.

«Ti ringrazio, allora ho recuperato qualche punto»

«Decisamente!».

È buonissima, ci metto pochi minuti a finire il piatto.

Mi prenderà per una mangiona, ma è forse la prima cena buona e seria che faccio da ormai qualche anno.

Sono sempre di corsa e quando sono da sola non ho voglia di cucinare piatti gourmet per me. Mi importa solo di non morire di fame.

Lo vedo che ride, mentre non smette di guardarmi con quegli occhi che brillano.

«Che c'è?», chiedo quasi imbarazzata.

«Sei uno spettacolo mentre mangi. Dovevi avere molta fame!».

Lo sapevo.

«Era buonissima, e non mi capita di mangiare spesso così bene. I turni al lavoro finiscono quasi sempre tardi, quando torno a casa mangio di fretta e via. Questa cena ci voleva proprio»

«Se non sono indiscreto posso chiederti da quanto lavori al bar?»

Ecco, ci siamo con le domande.

Ho ancora paura ad aprirmi con lui. È un uomo così affascinante, di talento, intelligente e con un lavoro degno di nota.

Io sono solo una ragazzina depressa che ha mollato l'università, con dei sogni rinchiusi in cassetti chiusi a chiave e con un futuro come barista.

Mi sento piccola di fronte a lui.

Cercherò di rispondere lo stretto necessario, quel tanto che basta per poter fare aprire un poco anche lui con me.

Lo sento, lo vedo, che dentro si porta tanto.

E io voglio scoprire tutto. Ma con calma.

Sono abituata a svelare subito il mio corpo, ma la mia anima non l'ha mai vista nessuno.

«Da qualche anno, è stato il primo lavoro che ho trovato appena ne ho cercato uno. Guadagno quello che mi serve, per adesso mi basta».

Cazzate.

Non mi basta per niente.

E pensare che lavoro solo per non usare i soldi dei miei genitori ricchi sfondati che si dimenticano persino di avere una figlia.

Una figlia che ha rinunciato al suo sogno di scrivere libri e poesie, solo perché la depressione si è portata via tutto e loro neanche se ne sono accorti.

«Capisco. È da ammirare che alla tua età lavori così duramente, e già da qualche anno. Davvero.»

La sua voce mi riporta alla realtà.

«Ti ringrazio», rispondo bevendo un sorso di vino e cercando di spostare i miei pensieri su di lui.

Ho bisogno di sentirlo più vicino.

LA LUNA SA ASPETTAREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora