143. Cloe

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Siamo davanti al suo portone.

Per tutta la camminata di ritorno non mi ha rivolto parola. Ma non importa, non posso biasimarlo. Sono forti, potenti e intense le confessioni che poco fa gli ho riferito. Ed ho preferito l'abbraccio ad ogni possibile parola. è come se mi avesse detto "tranquilla, ci sono io. Va tutto bene, non mi allontanerò da te", senza dire nulla. Semplicemente stringendomi a sé, in silenzio. Forse avrei dovuto aprirmi con lui fin da subito. Ma adesso non mi interessa. Mi sento così leggera.

Apre la porta di casa, abbandona il cappotto sul divano, si toglie le scarpe e si butta sul letto. Solo adesso mi rendo conto che è tutta la giornata che si trova fuori casa, tra l'università e la cena con i suoi collaboratori. Deve essere molto stanco.

«Vieni qui», mi sussurra dalla camera. Mi tolgo scarpe e giacca anche io e lo raggiungo. Mi sdraio accanto a lui e mi lascio abbracciare. È tutto ciò di cui adesso ho bisogno. Di sentirlo accanto a me, come un mio complice. Mi stringe senza dirmi nulla.

«Grazie. Grazie di tutto», gli sussurro piano, sentendo le sue mani stringermi i fianchi, contro i suoi.

«Ti amo Cloe. Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita», lo sento dire con voce rotta. Mi abbraccia come se non dovesse lasciarmi più, come se avesse paura che io possa scappare via. Quelle parole appena pronunciate sembravano malinconiche. Una strana sensazione mi si insinua tra la gola e la bocca dello stomaco.

È stata una giornata tosta. Devo essere molto provata e stanca.

Rimango ferma tra le sue braccia, mentre un debole sorriso mi riempie il viso. Nel silenzio di quell'abbraccio ci addormentiamo, entrambi sfiancati dalla giornata.

Dalle emozioni. Dalla vita

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