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«Ho paura Aura, se veramente è successo quello che è successo?» ebbene si, le avevo raccontato tutto perché il terrore mi stava mangiando dentro, i ricordi non si decidevano a tornare alla mente e mi sentivo morire ogni volta che guardavo un ragazzo negli occhi.

Per quello avevo ignorato tutti da quando ero tornata a casa quel sabato pomeriggio: mi ero chiusa in camera mia senza nemmeno scendere per mangiare, a scuola invece cercavo di essere invisibile il più possibile, e tra tutti era l'intento più semplice. A lavoro invece mi sembrava di sprofondare sempre più a fondo perché ogni cosa mi ricordava quel piccolo bar a New York e di conseguenza ciò che era successo.

«Hai il diritto di saperlo Dav, non puoi non chiamarlo.» mi sedetti sul cornicione del tetto e scossi la testa.
«Io non ce la faccio. Non ci riesco.» le diedi in mano il foglietto dove avevo riportato il numero di Alexander così lei prese il suo cellulare e lo chiamò, ma i secondi passavano e la sua voce non rispondeva.

«Vedi? Non risponde Aura.» non l'avevo chiamato prima, ma quello per me era un segno che non avessi dovuto farlo.
«Se ti ha violentata Dav, andiamo avanti insieme. Io sono con te e lo sarò sempre, al di là di tutto.» e per la prima volta mi strinse forte a lei come se in quell'abbraccio volesse farmi capire tutto l'affetto che provava nei miei confronti.

«Non riesco Aura, non riesco a chiamarlo.» e ancora una volta, ancora un giorno in più, i miei tentativi erano vani perché ero sempre pronta a premere quella cornetta ma la paura mi attanagliava il cuore.

Non seppi il perché. Forse perché lo avevo fatto con uno sconosciuto. Forse perché era la mia prima volta. Forse perché mi sentivo davvero sporca senza nemmeno sapere la realtà dei fatti. O forse era perché non avrei voluto farlo con lui. Forse avrei voluto che fosse più importante, che fosse una cosa da ricordare.

Anche quel giorno la pausa pranzo finì, come erano destinate a finire tutte le cose, così fummo costrette a tornare dentro la scuola e abbandonare nuovamente tutte le intenzioni di chiamare quel ragazzo. Ci avviammo verso la nostra classe, ma ad un tratto sentimmo un rumore fracassante da un corridoio poco più nascosto rispetto agli altri.

Aura mi fermò per un polso quando provai ad avvicinarmi, ma la guardai male. Se fosse successo qualcosa? E se magari avremmo dovuto chiamare i soccorsi? Maledii nuovamente le mie paranoie e mi tranquillizzai subito quando mi resi conto che non fosse morto o svenuto nessuno.

Il rumore proveniva dallo stanzino del bidello così mi rilassai e feci per andarmene, ma la voce del mio migliore amico mi ridestò dai miei pensieri.
«Dav cazzo.» mi stritolò tra le sue braccia mentre borbottavo parole disconnesse, incomprensibili anche per me.

Ero consapevole che quella sensazione di paura non era dovuta all'abbraccio e che nonostante odiassi il contatto fisico quello non mi avrebbe dato molto fastidio visto che era una settimana che non mi ero fatta né vedere né sentire. No, quello era puro terrore perché non riuscivo più a fidarmi del sesso opposto. Mi ero allontanata anche da Eric quando aveva provato ad abbracciarmi, una volta scesa dall'aereo, ma non si preoccupò più di tanto visto che credeva che ce l'avessi con lui per la punizione.

«Ti sei fatta una bella vacanza a New York?» indietreggiai spaventata.
«Non direi.» mi coprii con la felpa oversize che stavo indossando, cercando di passare ancora una volta invisibile agli occhi del moro davanti.
«Stai bene Dav?» annuii freneticamente e ringraziai Aura quando venne in mio soccorso, salutando Jaden poco più distante.

Il mio sguardo saettò velocemente sul suo, i nostri occhi si incastrarono e la sua espressione impassibile mi fece perdere un battito. Era così bello, e io al contrario mi sentivo così brutta e sporca in quel momento, che abbassai istantaneamente, forse per la prima volta da quando lo conoscevo, gli occhi verso il pavimento.

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