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Vendetta. Era ciò che volevo più di ogni altra cosa al mondo ogni volta che qualcuno mi faceva un torto.

Ero stata io a mandare Nate nell'accadenia militare anonimamente, avevo anche pareggiato i conti l'anno precedente con tutti coloro che mi avevano sempre preso per il culo e insultato.

Era quella sensazione di gratitudine, quella sensazione che si muoveva dentro il mio stomaco tutte le volte che mi sentivo ripagata e in qualche modo anche ricompensata per tutto il dolore che avevo sempre provato, a farmi credere che fosse una cosa giusta. Era l'adrenalina, ciò che faceva salire quella voglia di vendetta in me che era ciò che volevo sempre sentire.

Adrenalina allo stato puro!

Mi appoggiai alla porta della palestra della scuola, mi guardai intorno rimanendo in silenzio per cullarmi dal vuoto totale. Ero sola: i giocatori se ne erano andati ormai da qualche minuto e io guardavo le scatolette di vernice che avevo portato. Individuai le videocamere ancora spente e sorrisi, indossai il berretto con la visiera nero e nascosi i capelli con il cappuccio della felpa.

Volevo vendetta più di ogni altra cosa al mondo per ciò che aveva fatto Ethan, volevo ripagare il suo stesso compito e meglio di così non potevo: avrei rovinato la sua popolarità una volta per tutte. Mi avvicinai al muro e prima di imbrattarlo, poggiai le unghie delle dita su di essa e le feci strisciare per qualche metro. Presi la bomboletta e iniziai a sbatterla violentemente prima di avvicinarla al muro scrostato, sorrisi malefica.
«Che cazzo stai facendo?»

Mi girai di colpo quando una voce familiare mi interruppe dal portare a termine in poco tempo il mio piano malvagio, la sua espressione sarebbe stata da immortalare per quanto fosse confuso e allo stesso tempo divertito.
«Fatti i cazzi tuoi.» lo ignorai, prendendo a disegnare e facendolo sghignazzare.
«Perché vuoi imbrattare un cazzo di muro insignificante?»

«Vendetta personale.» mi guardò confuso per poi avvicinarsi.
«Siamo più simili del previsto allora.» scossi la testa perché in realtà non volevo dargli ragione, non volevo ammetterlo ma era veramente così.
«Noi non siamo simili.» sbottai infatti infastidita, spostandomi di qualche metro per continuare a scrivere parole che si connettevano tra di loro ma che sembravano, per gli estranei, solo parole a caso.

«Ah no?» prese un pennello e lo intinse in un recipiente pieno di colore. «Cosa devo scrivere?» feci un cenno della mano, cercando di mandarlo via.
«Lascia stare, ti metterai nei guai. Faccio io.» si avvicinò a me e ripassò le scritte poco visibili che avevo fatto.
«Ti preoccupi bambolina?»

«Smettila.» ringhiai verso di lui.
«Di fare cosa?» si avvicinò a me con il pennello sporco in mano.
«Di chiamarmi così. Di guardarmi in questo modo.» i nostri piedi si avvicinarono pericolosamente, sentii il suo calore farsi sempre più presente vicino a me e quel senso di desiderio che si appropriava di me ogni qual volta eravamo a pochi centimetri di distanza.

«Come ti guardo?» la sua voce era bassa e tremendamente roca, mi stava dando alla testa con i suoi giochetti di seduzione.
«Come se fossi nuda.» sorrise malizioso e io puntai le sue labbra rosee, facendolo sorridere più del dovuto.
«Perché non lo sei?» inarcai un sopracciglio.
«Direi di no ragazzino eccitato.»

Il suo sorriso scomparve all'istante mentre il suo petto continuava ad avvicinarsi al mio, presi a respirare a pieni polmoni cercando di reprimere ogni mio istinto animalesco.
«Peccato.» alzai gli occhi al cielo e misi fine a quello strano momento di attrazione, indietreggiando. «Allora. Vuoi dirmi che cosa devo scrivere?» scossi la testa e tornai a formulare parole a caso sul muro bianco.

«Vai via Jaden, non è la tua vendetta questa.» appoggiò il pennello sul recipiente e poi mi guardò divertito.
«Entrambi amiamo l'adrenalina, muoviti a dirmi cosa cazzo devo scrivere.» anche lui ormai aveva letto il testo che era stato pubblicato sul giornalino scolastico con un grandissimo successo, era così personale che mi sentii sprofondare.

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