Capitolo 2 (I). Il corteo funebre

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Mentre ci attardavamo a raccontare la notte di Marco in viaggio, la testa del corteo aveva quasi raggiunto lo spiazzale innanzi al cimitero.

Maria era sempre in prima fila dietro il carro a braccetto con i suoi genitori, sua sorella, Carmine e Terzo; neppure un vestito sobrio da lutto la celava; aveva quasi quarant'anni, ma né la gravidanza, né il lavoro, avevano inciso su quel fisico che, anzi, aveva preso dalla vita all'aria aperta salute e forza; madre e figlia sembravano gemelle: Maria ancora florida, Ilaria già ben formata.

Marco non aveva ancora avuto modo di salutarla; in chiesa era entrato in ritardo e all'uscita camminava in seconda fila.

Ilaria lo aveva trattenuto non solo per stare più larghi, ma anche per parlare in libertà sormontati dal suono del megafono, legato in cima a una pertica, portato da un alto chierichetto orgoglioso del compito, mentre un secondo, con passi quasi danzanti, dondolava il braciere dell'incenso che diffondeva un profumo pungente e amaro.

Il don, che li seguiva con un microfono legato a un filo, fin dall'uscita del feretro, aveva recitato i Misteri Dolorosi e altre Litanie diffuse con un tono metallico che discordava dalla mesta atmosfera ai quali il popolo, quello femminile perlomeno, rispondeva con voce strascicata.

. . .

«Madre Santissima.»

«Prega per noi.»

«Madre della Gloria.»

«Prega per noi.»

«Madre della Chiesa.»

«Prega per noi.»

. . .

Marco, cullato dal ritmo della preghiera, cominciava a sentire la stanchezza della notte passata in bianco alla quale non era abituato: i suoi "sabato sera" si erano per il momento limitati a uscite in pizzeria o pub con i suoi amici che però finivano sempre prima dell'una visto che, nel suo gruppo, c'erano ragazze con il coprifuoco di mezzanotte che andavano accompagnate a casa. Cominciava a camminare per inerzia, e tutto attorno diventava un po' distante; gli venne l'abbiocco; solo la mano di Ilaria che continuava a tenere lo ancorava a quel presente, al fatto che non fosse più in città, ma in quel paese che aveva visto per tutte le estati della sua infanzia.

Non quindi un paese di villeggiatura, ma quasi una seconda patria, forse addirittura più radicata in lui di una città, Genova, che, ancora, non sentiva del tutto visto che tutti i suoi parenti o abitavano al sud o comunque di origini meridionali, come i parenti del ramo romagnolo cui poco prima abbiamo accennato.

Anche Giacomo non era di Genova; i suoi genitori venivano dal Friuli, emigrati dopo il terremoto del '76 e, forse proprio per questo erano diventati amici in classe: perché entrambi condividevano il presente di esser genovesi, ma senza averne radici.

Colliano era il contrario: Marco aveva lì le radici, ma non il presente; tutti lo conoscevano perché tutti conoscevano il padre, per la gente del paese era il "ragazzo del nord", il primo figlio di Antonio, poverino, abbandonato con la madre, studioso e quieto, gentile con sua sorella.

In quel suo stanco camminare con la sorella, si immaginava di sentire, con le orecchie del cuore, i commenti dei compaesani che, alle sue spalle nel corteo, stavano sicuramente facendo sulla sua venuta, sull'assenza di sua madre, sul suo vestito, sulla sua diversità da Ilaria e chissà su quali altre cose.

Persino la sorella gli aveva detto, poco dopo essere usciti di Chiesa: 

«Ti trovo bene, Marco, ma sei un po' troppo magro, devi mangiare un po' di più.»

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora