Capitolo 6 (IV). Irene ci prova

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Irene, quando tornò dal lavoro, per le tre di pomeriggio, non poté non notare almeno due cose, una positiva e una non così positiva: la prima è che in casa sembrava aver traslocato un camion di cibo, la seconda è che aveva un figlio innamorato della sorella.

«Marco?», entrò con circospezione, c'erano scatole e sacchetti per tutta l'entrata, «Marco?», lo chiamò altre due volte, si tolse le scarpe e la giacca, «sei tornato, ci sei?»

«Sono qui, ciao ma'», sentì una voce dalla sala che sembrava però provenire da una tomba.

«Che sono tutte queste cose?», si chinò a guardare. 

«Te le manda zia Maria, mamma», la voce dalla tomba si era spostata nella cripta.

«Vedo...», Irene scostò alcuni sacchetti, vide noci, nocciole, fagioli secchi, farina, freselle, taralli, bottiglie di salsa, «hai mangiato bene, laggiù.»

«Sì. ..»; dalla cripta si era passati all'obitorio. 

«Che entusiasmo...», Irene si alzò, «non mi vieni a salutare?» 

«Vieni tu, sono stanco», la voce era in terapia intensiva. 

Entrò in sala e vide Marco, in atteggiamento devoto, ammirare la fotografia di Ilaria con l'abito tradizionale; ci mancava poco che non le avesse acceso un lumino di fronte. Era andato a portare il rullino in uno di quei laboratori di sviluppo e stampa immediati e aveva girato per un'ora circa l'isolato in trepida attesa.

Alcune erano sovra o sotto esposte, sfocate o in controluce, non era ancora molto pratico di diaframma e tempi di posa, ma quella sulla panchina di Colliano, per caso o Destino, era venuta benissimo; il sorriso, lo sguardo, la posa, lo sfondo, l'inquadratura, il vestito che le stava indosso, tutto sembrava convergere alla perfezione ed egli, quasi saltando il pranzo, la stava rimirando da almeno un'ora.

«Avresti potuto anche alzarti per salutare», Irene andò da lui, «non ci vediamo da una settimana», si chinò per dargli un bacio, «è Ilaria, quella, vero?»

«Sì», Marco rispose come se la sua mente fosse su Marte, con i pugni sotto al mento, chino sul tavolo della sala.

«Quando gliel'hai fatta?» 

«A Pasqua.» 

«Com'è cresciuta, non c'è che dire: tutta sua madre, bellissima...», Irene la prese in mano, «non sembra dodicenne; gliene daresti almeno diciotto», sospirò, «certo che tuo padre aveva buon gusto per le donne; si vede che io non ero abbastanza per lui», la posò.

«Mamma...», Marco sbuffò, «ne parli sempre male.» 

«E cosa devo dire? Se gli piacevano le belle donne avrebbe potuto anche non venirmi a scocciare, però...», andò in cucina, «hai mangiato?»

«Qualcosa...», Marco si era risistemato la foto di Ilaria di fronte, appoggiata a un bicchiere, sospirò, «non ho fame, giù mi hanno riempito; c'è il caffè fatto nel microonde, lo scaldi, per favore?»

«Beh, almeno ti vedo più in carne, questo sì», Irene mise il timer per un minuto, si sentì il ronzio del piatto girare, gli andò vicino e gli diede una carezza ai capelli mentre la sua contemplazione di Ilaria continuava; «non avevo dubbi su questo.»

«E su cosa avevi dubbi?» 

«So io...», gli continuò ad accarezzare la testa per qualche secondo, «una mamma sa tante cose», vide la macchina fotografica che Marco aveva lasciato sul tavolo, «e questa da dove viene?» la prese, «ah, sì, mi ricordo quando l'ha comprata...», la rimirò tra le mani, «gli avevo chiesto diecimila per comprarti un paio di scarpe, mi disse che non ne aveva e poi lo vedo con al collo questa...», la posò sul tavolo, «era da Maria, vero?»

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora