Capitolo 7 (I). Marco si impunta

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Quella sera stessa Marco scrisse la prima lettera a Ilaria o, meglio, ne scrisse almeno cinque a giudicare dal numero di palline accartocciate nel cestino; stava per cedere, ma alla fine, dopo aver accartocciato l'inizio della sesta, si decise per la prima; la prese dal cestino, la dispiegò e la riscrisse in bella copia, cercando di usare una grafia leggibile e chiara; il testo era:

"Cara Ilaria," 

"sono a Genova da poche ore e già mi manca la vita giù con te. Il pensiero di andare domani a scuola non mi rende granché felice e il pensiero che tu, senza papà, sei ora sola a gestire quasi tutto con in più la scuola mi preoccupa. Ti ho vista in questi giorni, non stavi quasi mai ferma."

"Sappi che voglio aiutarti; ho già parlato con mia mamma, in qualche modo faremo, giù non ti lascio più sola."

"La tua pizza che ho mangiato oggi a pranzo era buonissima, me ne sono tenuto un po' per domani da portare nell'intervallo, almeno ho un motivo in più per stare nel banco."

"Sono già andato a sviluppare le foto, questo è il bello di una città, hai tutto sotto casa. La tua sulla panchina è venuta benissimo e te la mando; io me ne farò una copia."

"Grazie per ciò che hai messo nella mia borsa; è stata una sorpresa che non mi aspettavo, ma sono due cose di te bellissime; ti sento molto più vicina così."

"Vorrei mandarti qualcosa di mio, ma cosa? Nelle foto vengo sempre male; giù ho avuto vergogna a farne una con te, ma forse devo ricambiare perché se mi vedi ti ricordi meglio; siamo molto distanti e chissà quando ci rivedremo. Ti mando una mia vecchia tessera dell'autobus, non sarà un granché, ma almeno sono io."

"Mi farebbe tanto piacere che tu mi rispondessi, non ti preoccupare dell'italiano, scrivi come ti senti, io ti capisco. Ciao,"

Per almeno un quarto d'ora fu indeciso se firmare come "Marco" o come "tuo fratello, Marco". Sbuffò, risbuffò, ri-risbuffò; prese la foto di Ilaria, la guardò, storse la bocca: «è mia sorella...», si disse, sottovoce (Irene era in sala a guardare il quiz prima del telegiornale, non l'avrebbe sentito), ma il suo corpo la pensava diversamente e non rispondeva al vincolo di parentela.

Non era però questione solo di scollatura, come pensava Irene; quella foto, e soprattutto il vestito e la vita che Marco aveva visto trascorrere a Ilaria in quei giorni, rappresentava un modello femminile che invano aveva cercato negli anni del liceo.

Giulia, che quel giorno non venne chiamata, rappresentava la stabilità razionale; ma Ilaria con quel sorriso, quel corpo, quella vitalità e soprattutto quella forza nelle braccia con la quale l'aveva vista lavorare senza posa in campagna, a impastare, cucinare, lavare, pulire, cucire, tutto con il sorriso e senza lamentarsi, gli sembrava adatta a creare una famiglia da zero, per loro due orfani; egli da tempo, ella da poco.

In più sentiva il desiderio di esserle utile; tuttavia, con la porta chiusa, andò a prendere il velo della sorella e lo portò sulla scrivania, accanto alla lettera.

«Cosa voglio veramente da Ilaria?», si chiese, «è mia sorella, appunto, perché la voglio far venire? Sono sincero con lei?»

Rilesse l'ultima riga: perché gli avrebbe fatto piacere una sua risposta? Solo per insegnarle l'italiano? Per sapere notizie sulla capretta e la mucca? Respirò a lungo, vide il velo, lo immaginò indossato da lei, ancora una volta, alla fontana, con quello sguardo, quel sorriso che non aveva mai visto, di donna acerba, ma nello stesso tempo matura; l'eccitazione crebbe e non la capiva, perché In quel momento stava guardando solo un velo in pizzo.

«No, devo essere sincero, con lei e con me.» 

Si disse, e, sotto, firmò soltanto: 

"Marco." 

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora