Capitolo 9 (III). I primi tempi a Genova

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I due ragazzi, mano nella mano, nel pomeriggio uscirono per andare in chiesa per presentarsi a Don Giamba. Irene l'aveva spuntata almeno su questo punto e si era anche calmata perché, diciamolo, Ilaria non le aveva fatto toccare più nulla; dopo aver steso aveva cucinato per tre e lavato i piatti, senza ammettere repliche. Per quanto fosse — forse — innamorata del fratello, aveva dovuto ammettere che fosse comodo avere finalmente un aiuto in casa. Con la scusa dello studio e del suo sesso Marco, fino a quel momento, aveva fatto poco.

Alcuni ragazzi avevano telefonato a pranzo; Oreste aveva sparso la voce che Marco avesse una sorella bellissima e tutti gli amici di Marco erano curiosi di vederla — le femmine un po' meno — e avevano tutti chiesto a Marco di portarla sia a messa che al mare.

Ritornarono verso la fermata dell'autobus 40, per circa trecento metri, ma poi presero una rampa di scale che li portò di fronte alla chiesa di N.S. del Loreto in Oregina; tale chiesa, per chi non la conosce, si affaccia dalla collina del Righi su tutta la città con un panorama che si estende, nelle giornate limpide, fino a Portofino e c'è che giura di aver visto persino la punta della Corsica.

«Ca bello cca'», Ilaria si era appoggiata al muretto che correva lungo il piazzale; era una giornata limpida, ma ventosa, e i suoi capelli, sciolti, si muovevano al ritmo delle folate; guardava verso il porto.

«Ce la stiamo facendo, vedi?», Marco era a fianco di lei, sorrise, «ma non devi fare tutto in casa; non è facendo la serva che mia mamma ti accolga meglio, anzi.»

«I' so fatta accussi'», Ilaria alzò le spalle, gli strinse la mano, «e' te vojo aiuta'»

«Sì, ma domani usciamo, vero?» 

«Agge paura, ue' Ma'.» 

«Ci sono io», Marco alzò le spalle, «andiamo solo al mare con i miei amici, non ti succede nulla; dopo andiamo in centro a comprarti un costume.»

«None, chillo no», Ilaria fu ferma, si alzò in piedi, scosse il capo. 

«Ma intero, Ili», Marco alzò le spalle, «cosa vuoi che sia?» 

«None...» 

«Ma scusa, Ili, non capisco...», Marco arrossì, indicò la scollatura e la lunghezza poco sopra il ginocchio, «non è che questo vestito copra molto di più.»

«Sine, ma r' spalle e o' sedere so cupierte», Ilaria si guardò le mezze maniche e storse la bocca, «sto mejo accussi', ma se do fastidio e' sto a' casa, va' tu.»

«No, Ili...», Marco sospirò, «te l'ho detto; non isoliamoci, anche in città potrebbero spettegolare se non esci, dai...», si staccò e le diede la mano, «ti porto in chiesa, così conosci il don.»

Prima di entrare Ilaria dalla borsa prese un velo fatto all'uncinetto. 

«Qui non si usa, Ili, puoi anche non metterlo...» 

«None», Ilaria si legò i capelli in una coda e poi vi pose sopra il velo fermandolo con alcune forcine, «e' casa r' Di', aggia trase sistemata.»

La chiesa a quell'ora era ancora vuota; la messa prefestiva sarebbe cominciata più tardi; Ilaria prese l'acqua benedetta, si segnò e cominciò a esplorare in silenzio, Marco la seguì qualche passo indietro.

Dopo aver fatto qualche passo ella si diresse senza altro indugio verso una statua di legno dipinto raffigurante Maria con una tonaca azzurra e il bambin Gesù in mano; entrambi avevano una corona circolare con piccole lampadine accese; davanti vi era un candeliere e un inginocchiatoio sul quale si chinò; prese dalla borsa il suo rosario, vi unì le mani e vi pose la fronte; cominciò a recitare una decina.

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora