Capitolo 9 (II). I primi tempi a Genova

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«Mi dispiace Ili...», Marco cominciò a camminare verso casa, entrarono in via Boine, quasi privata, con poco traffico.

Ilaria gli si appoggiò al braccio, «nun me lassa' sula cca.» 

«Tranquilla, Ili...», Marco le sorrise, «per i primi tempi usciremo sempre insieme, ti devo far conoscere le vie, la tua nuova scuola...»

«Isse me guarda'.» 

«Beh», Marco strinse la bocca, «come dargli torto? E dire che tra tutti i miei amici abbiamo incontrato quello più calmo.»

«M'aggie prese paura, ue Ma'.» 

«Non ti avrebbe fatto nulla anche se l'avessi incontrato da sola; lo sai?» 

«Sine, ma sta ccu mme.» 

«Sì, Ili», Marco le cinse la vita con il braccio; era una bellissima mattina di fine agosto, «non ti faccio rubare, dopo la fatica per farti salire.»

«Nisciuno m'adda guarda', sulo tu», Ilaria gli si appoggiò al braccio. 

«Grazie Ili, ma....» 

«So' venuta cca ppe tte, no ppe gli amici tuoi.» 

«Eh, lo so...», Marco sospirò. 

Camminarono qualche passo in silenzio; la via era in discesa, costeggiarono quello che sembrava un asilo con disegni e fiori appiccicati ai vetri, passarono un tornante.

«Si' triste, ue' Ma'.» 

«Triste no, ma non dobbiamo neppure dare troppo nell'occhio», Marco strinse le labbra, «hai visto sul treno? Se stiamo troppo vicini ci scambiano per fidanzati.»

«Cume faccime? I' vojo sta cu te.» 

«Anch'io...», Marco si diresse verso un portone, «dobbiamo essere furbi però, qui sanno che siamo fratelli; eccoci qui...», indicò la targhetta sul citofono, «Spatari- Guidotti...», si voltò, «siamo noi...», alzò le spalle.

«Marco, Ilaria...», Irene si affacciò dal balcone, portava un vestito da casa, gli occhi erano cerchiati di scuro, «vi ho sentiti arrivare.»

«Ciao ma'», Marco si tenne la mano sulla fronte per schermarsi dal sole, guardò in alto, «siamo arrivati, sì, ci apri?»

«Buongiorno, signo'», Ilaria fece un passo indietro dal fratello. 

«Chiamami zia, Ilaria, non signora; vivrai qui», Irene sospirò, «vi apro», entrò in casa.

Il portone si aprì, «vieni Ili...», Marco lo tenne aperto per lei, le tese la mano, «non aver paura.»

«Issa tene scuorno, ue Ma'?», Ilaria sussurrò. 

«No, lasciala perdere...», Marco sbuffò e poi le continuò a dire nell'orecchio, «capace che non abbia dormito stanotte dal pensiero, sforzati di parlare italiano, però, con lei, magari la tranquillizza.»

***

Fecero le due rampe di scale in silenzio, la porta di casa era semiaperta. 

«Mamma?», Marco la spinse un poco, entrò in corridoio, «mamma? Siamo qui», fece cenno a Ilaria, chiuse la porta alle loro spalle, posò la borsa; «mamma?», ripeté, ma si sentì solo il rumore della lavatrice in funzione.

«Mamma?» 

Si sentì un soffiare forte il naso dalla cucina; «sono qui...», e una voce dall'oltretomba.

«Mamma, su...», Marco fece due passi in corridoio, «non vieni a salutarci?», prese la mano di Ilaria, si voltò, le fece cenno di parlare.

«Zia? Zia Irene? So' arrivata.» 

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora