Capitolo 33 (6°). Il racconto di una madre

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Questa volta Ilaria si spaventò. Disse... "Dio mio Silvia, cos'hai passato."

"Sì, Ilaria, purtroppo, ci sono anche queste storie... non è sempre così facile avere un bambino. Faccio il numero del bar. Nicola risponde subito. 'Nicola', dico... 'sono... io. Senti... dovresti venire in ospedale.'. Nicola non capisce subito, pensa che stia partorendo: 'Silvia, ma... hai già i dolori? Sei in anticipo, da quando? Oggi stavi bene...', 'No, dico... ecco, è meglio se vieni, io... è... un problema? E' un problema chiudere il bar? Puoi lasciare il lavoro a Luigi?', Luigi è il suo socio, non so cosa dire..., non voglio dirglielo per telefono; lui fa il possibile per rimanere calmo, però tra le righe capisce che c'è qualcosa di grave. 'Silvia non ti sento bene, dove sei? In ospedale?', 'Sì, mi ricoverano, mi trovi...qui, all'ospedale di Sampierdarena, ginecologia, vieni presto se puoi.'"

"Il resto... è tutto... così... automatico, di routine, meccanico. Ritorna il dottore giovane con una dottoressa più anziana, mi dicono di farmi coraggio, c'è bisogno di farmi partorire, rischio un'infezione a tenermi Emanuele dentro. Mi ricoverano, mi portano in sala travaglio, in uno stanzino a parte, forse... forse per non farmi vedere le altre donne con un bambino vivo. O forse perché vedermi potrebbe esser per loro traumatico. Mi mettono una flebo di ossitocina per farmi venire le contrazioni; mi dicono che hanno messo una dose piccola per iniziare, non dovrei sentire molto male. Sento dei dolori arrivare, sono dolori forti però per me, non li avevo mai sentiti, il parto indotto non è una passeggiata. Ma... in qualche modo... uso le stesse tecniche del corso preparto, in effetti... è un parto, né più né meno."

"Nicola arriva dopo poco. 'Nicola...', non riesco a dirlo. 'Nico, Nico... perdonami... non ce l'ho fatta neanche stavolta!', non posso alzarmi per la flebo e... rimango lì, a piangere, sul letto; finalmente... guardando Nicola ho capito cosa sta succedendo, il mio cervello ha ripreso a funzionare. Ho fallito un'altra volta, ecco cos'è successo. Ho fallito, all'ultimo, ma ho fallito. Nico viene vicino, capisce che c'è qualcosa, lo abbraccio con l'unico braccio libero e gli piango addosso. 'Nico... Nico... io... scusami... Emanuele... il nostro Emanuele... è... morto.'".

"Nicola è atterrito, si accascia sulla sedia lì accanto al letto. Io intanto sento la contrazione successiva arrivare, ma non importa, quel dolore è sopportabile in confronto all'altro, al dolore di vedere il viso di mio marito in una maschera di sofferenza. Un dolore che non gli avrei mai, mai voluto dare. Entrambi siamo colpevoli, passiamo minuti interminabili e inutili a dare a noi stessi la colpa dell'accaduto. Lui per avermi fatto provare un'ultima volta, io... per aver fallito. 'Mi spiace Nico... io... io... ho ucciso Emanuele. Ho ucciso il nostro Emanuele. Perdonami.'. Il mio corpo l'aveva rifiutato, non ero stata capace di portarlo in fondo. 'Silvia... io...', comincia adire... ma poi si toglie da me, scappa, non ce la fa, non ce la fa a rimanere. Esce dalla stanza, non so dove vada, forse...forse a piangere fuori, non si vuole far vedere da me in quello stato, forse va a fumare, urlare, dare calci al muro, non lo so."

"Poi... dopo qualche minuto ritorna. Ha un viso da vecchio, stanco. Io... sono con i dolori, nel frattempo è passata un'infermiera, ha controllato la flebo, ha aggiustato la dose, listo sopportando bene, l'ha aumentata. Nico si siede vicino, ha l'aria di aver pianto, la faccia rossa. Mi prende la mano. È ritornato in sé, più tenero. 'Silvia... non darti colpa.', mi dice. 'Come stai tu?', si interessa di me, povero caro, mi fa tenerezza. Sta con me tutto il tempo... ore? Non mi ricordo, sicuramente tanto tempo, il parto è il primo, mi devo dilatare, Emanuele, comunque, è... bello grosso, sarebbe stato... bello grosso. Il dottore giovane si fa vedere talvolta, è sconvolto anche lui, forse gli ho dato un brutto caso in quel pomeriggio, il battesimo del fuoco in ginecologia, direi, cerca di consolarci, per quanto sia impossibile."

"Alla fine... comunque, ecco... lo partorisco... mi ricordo l'ora, le due di notte del 24 ottobre 1991 e... lo prendo in braccio. Gli do un bacio. E' bello... tanto bello ma è grigio, ha la pelle grigia violetta, freddo. Quasi mi scivola dalle mani, ha la pelle viscida che sembra voler cascare, un viso da vecchio, già con le rughe, gli occhi chiusi. 'Emanuele', lo chiamo, ma non risponde. 'Emanuele, scusami, la mamma non è riuscita a tenerti'. Nicola è vicino a me, non riesce a toccarlo, a prenderlo in braccio, gli fa impressione. Prova a toccarlo ma si ritrae, piange. Lo adagio accanto a me, lo portano poi all'obitorio. Rimango in ospedale qualche giorno, mi tengono in osservazione, forse per paura di infezione. Ho la montata lattea, curioso, vero? Del latte per un bambino che non c'è più. Ma in ospedale mi chiedono di donarlo, se me la sento. Io dico di sì, e così comincio a farmelo tirare, lo useranno poi per altri bimbi bisognosi. Ritornerò in ospedale anche dopo dimessa per settimane per dare latte alla loro riserva."

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora