Capitolo 38 (1°). Un difficile addio

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Il ritorno dalle vacanze fu, come al solito, dolce e amaro; per Anna fu sicuramente dolce per ritrovare il suo gattino e, per Marco, pur con la malinconia di aver lasciato il paese, lo fu altrettanto; per Luigi, invece, il pensiero di andare di nuovo a lavorare in ospedale offuscò la gioia del rivedere il futuro genero, Sara era sempre malinconica al ritorno dai suoi parenti; non aveva mai espresso il desiderio di trasferirsi, la Liguria le piaceva, ma ogni volta che salutava i suoi genitori si commuoveva sempre e, per qualche giorno, diventava nostalgica.

I più contenti furono sicuramente Franco e Irene; quest'ultima era tornata rosso peperone, spellata ma felice come non le accadeva da una ventina d'anni: era anche leggermente ingrassata con la cucina abbondante della mamma di Franco e stava benissimo, quasi rinata; sembrava lontana da quella signora fragile e leggera che si era operata un anno prima; si era talmente innamorata della Sardegna che disse a Marco che probabilmente, da anziana in pensione, ci sarebbe andata a vivere. Il paese di Franco, in provincia di Oristano, era tranquillo, la casa di Franco già sistemata, il clima ottimo, sua mamma una donnina bassa e gentile che subito l'aveva presa in simpatia. I vari fratelli e sorelle di Franco, un buon numero, forse otto o nove, ma Irene non se li ricordava già più tutti, erano stati gentili e ospitali e praticamente avevano passato quindici giorni a rotazione a pranzo e cena da uno o dall'altro. Erano stati anche alcune volte al mare ma Irene non era tipa da spiaggia e avevano preferito fare più giri nell'entroterra per vedere nuraghi e anche altri posti meno frequentati da turisti.

Anche Marco e Ilaria tornarono sereni da quel viaggio; avevano parlato molto dopo l'episodio della stalla. Avevano capito entrambi che la loro situazione era stabile, ma non permanentemente stabile: dipendeva, infatti, da come si sarebbe evoluta la situazione con Andrea e Silvia e con la condivisione futura di Emanuele. Per Marco era un rischio, ovviamente, sposarsi con l'incognita di non poter andare avanti come marito fedele sulla base di un evento esterno su cui non poteva aver controllo; ma era l'unica soluzione possibile, perché l'altra, smettere di amarsi, era impossibile per entrambi i fratelli.

Andrea e Silvia, pur non facendo vacanze regolari, si erano da poco messi insieme e non avrebbero avuto modo di organizzarsi ed in più Andrea si era messo di buona lena nello studio, passarono giorni sereni nella sua casa al mare. Anche Silvia, pur in modo differente da Ilaria, riusciva a calmare Andrea in quella casa, più in senso pratico che altro; in pochi giorni di quasi convivenza quella casa ebbe di nuovo un tocco femminile: Silvia vi portò alcuni suoi libri, suppellettili che in casa sua occupavano spazio, risistemò la disposizione di alcuni quadri e mobili. Andrea la lasciò fare, anzi, quasi si divertiva a vederla trafficare e dirgli di spostare sedie o attaccapanni, erano diciassette anni che nessuno faceva più modifiche; la casa era tenuta in ordine e pulita da personale di servizio che veniva una volta a settimana ma per il resto era stata praticamente abbandonata; Silvia, amante del mare, la fece quasi subito sua e per tutto agosto vissero lì anche perché ella aveva circa una ventina di giorni di ferie quando l'archivio era chiuso. Così cambiata Andrea non la riconobbe più come la casa della morte della madre: divenne un altro ambiente, una casa che non gli dava più l'ansia di starci.

Il primo settembre 1997, di buon mattino, Ilaria si presentò in sartoria, ovviamente con Emanuele. Fu un primo giorno di lavoro tranquillo: la signora Gioia le fece conoscere le sue colleghe, tutte ragazze sotto i trenta, la metà almeno già sposate e con almeno un figlio; Emanuele era sveglio e come si può immaginare venne passato di mano in mano fra sorrisi e coccole. Si sentì a casa, le donne già mamme lo presero con dolcezza ed esperienza, le ragazze con speranza e la novità di un bambolotto da coccolare in mezzo a loro. Emanuele sorrise a tutte con il suo sorriso sdentato e si fece subito voler bene.

Erano tutte simpatiche ma Ilaria sentì intuitivamente una speciale connessione con una di esse, Nunziata, per il suo forte accento meridionale e la pelle simile alla sua; dopo la prima pausa pranzo, consumata in un cerchio comune con le cose portate da casa, mentre la signora, invece, andava a mangiare a casa sua, poco distante, prima di riprendere il lavoro, parlarono un poco insieme. Nunziata infatti era del sud, come Ilaria: aveva ventitré anni, sposata da tre con Carmelo e avevano una bimba, Simona, di un anno e mezzo che in quel momento era con la nonna. Era a Genova da pochi mesi.

"Da quando invece sei qui tu Ilaria?"

"Io dal '92, avevo quattordici anni."

"Si sente sai, tu praticamente non hai più l'accento di giù. Il mio si sente ancora?"

"Bè, sì, un pochino, onestamente sì...", Ilaria pensò a come buffa era stata lei nei primi tempi; adesso non ci pensava più, ma sentirlo parlare da Nunziata le fece uno strano effetto."...ma non è mica male, anch'io ero come te: è come siamo state abituate a parlare. All'inizio è dura, ma poi lo perderai."

"Sì, hai ragione, mi guardano ancora male quando vado in giro talvolta. Tu di dove sei?"

"Di Colliano, ma è piccolo, non lo conoscerai sicuramente, forse conosci Eboli che è lì vicino."

"Ma certo, Eboli, ci passo sempre in autostrada per andare al mio, Sala Consilina, conosco anche il tuo, ma solo di nome, non ci sono mai stata... mi pare sia in montagna."

"Quasi, d'inverno fa freddo, questo sì. Anche io... Sala Consilina l'ho sentita nominare, ma non ho mai viaggiato, non la conosco, fino a 14 anni si può dire che sono sempre stata a Colliano..."

"E' un po' più in basso, circa un'ora di macchina in più, credo, dal tuo."

"E' bello? Che facevi là?"

"Mah, non è che ci sia tanto, è il solito paese, mia madre tiene il bar lì. Sicuramente più grande del tuo, ma non è che poi sia enorme. Io poi sono andata a Salerno da una mia zia a studiare da sarta, mi piaceva."

"Ah, ecco perché ti trovi qui."

"Sì, sai com'è... a 16 anni avevo finito il corso, lavoravo come sarta, ero anche brava, poi... ero ragazza, mandavo i soldi a casa e per arrotondare andavo a lavorare la sera in un bar per avere qualche cosa mia da spendere, un giorno c'è questo ragazzo che entra, Carmelo, sai com'è... io gli piaccio, mi dice qualcosa di carino, io... mi sciolgo...", ricordava con aria sognante quei momenti, sorrise. "E' così la ragazza di campagna che si innamora del ragazzo di città, non è sempre così nelle storie? Ci frequentiamo, e dopo due anni ci sposiamo. E tu? Di chi ti sei innamorata per avere un così bel bambino? Di sicuro di un bell'uomo!"

Ilaria non seppe che dire, cercò di deviare il discorso e disse solo: "sì, è molto bello, ma... non era l'uomo adatto a me, me ne sono accorta solo dopo, prima di sposarlo."

"Che peccato! Però meglio così che fare un matrimonio sbagliato, vero? Con il mio Carmelo vado d'accordo ma a volte non vorrei stare così tanto da sola, avrei dovuto saperlo che sposare un camionista avrebbe avuto questo inconveniente. E poi... dopo nasce la bimba, sto un po' a Salerno a lavorare, ma poi la sua ditta lo vuole al nord e mi porta su con sua mamma. Sto quasi sempre con la suocera, brava donna, per carità, ce ne fossero così, ma non è come andare a dormire con tuo marito la sera e...a volte il letto matrimoniale è troppo grande per una persona sola, capiscimi... si sente la mancanza... tu non la senti?"

Anche in questo punto Ilaria ebbe un attimo di incertezza, si limitò a dire:

"Mah, per ora... Nunziata, io... sto bene da sola. Sai, Emanuele è piccolo, sì che è tranquillo però in questi ultimi tre mesi la sola cosa che voglio andando a letto è dormire, non penso a quelle cose."

Il lavoro, in sé, era difficile, ma Ilaria lo gestiva bene, aveva imparato già molte cose e, quelle poche che non sapeva, le imparò in poco tempo; la signora fin dai primi giorni non mancò di complimentarsi con lei, discretamente, per non farsi sentire dalle altre e non creare gelosie. All'inizio la mise a fare solo i lavori finali, non molto entusiasmanti, di rifinitura. Il taglio, per il momento, lo voleva dare a mani più esperte visto che erano stoffe costose in cui un taglio sbagliato o uno spreco poteva determinare la differenza fra lavorare in guadagno o in perdita.

Ilaria chiamò Francesca per ringraziarla, il lavoro era bello anche se complesso, non troppo faticoso e adatto a lei. Francesca si congratulò e le disse che nel frattempo ella aveva invece trovato da lavorare in un laboratorio di pasticceria in centro e che, in circa due settimane, era già ingrassata di un chilo e mezzo.

"Averlo saputo avrei fatto l'alberghiero altro che stare a rovinarsi gli occhi con gli aghi... qui almeno si mangia roba buona tutto il giorno, peccato per la linea...", le disse.

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora