Capitolo 9 (IV). I primi tempi a Genova

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La domenica di fine agosto era ancora di vacanza per tutti gli amici di Marco; quelli più giovani, ancora alle superiori, senza materie da riparare a settembre, lo erano già da giugno, e gli altri, invece, lo erano da tempo; quelli coetanei, universitari, attendevano settembre — dicevano — per cominciare a studiare per gli appelli di autunno; Marco, come sappiamo, aveva già preparato quasi del tutto "Fisica uno" al sud, lo scritto sarebbe stato solo a fine settembre, e si poteva permettere una giornata in totale ozio.

Il don era stato di parola; il giorno dopo aveva subito messo Ilaria nel coro ed era stata accolta bene, anche se dobbiamo ammettere che la sua bellezza aveva distratto i coristi maschi che la vedevano per la prima volta. Marco, poco intonato, capace solo di strimpellare qualche accordo sulla chitarra, non ne aveva mai fatto parte e l'aveva seguita dalle prime panche; al don, però, durante tutta la celebrazione, non era sfuggita la conversazioni fatta di sguardi e di sorrisi fra i due fratelli; e neppure a Irene, qualche panca più a fianco, quel giorno non di turno in albergo, che esultava per ogni sguardo che un ragazzo dava a Ilaria, ma sospirava per ciascuno che Ilaria dava a suo figlio e le veniva da piangere per quelli — altrettanto numerosi — che Marco le ricambiava.

In più, a fianco a lei, stava la mamma di Giulia con la figlia lì vicino accompagnata dal suo quasi ufficiale fidanzato e il vederla a fianco, una possibile consuocera ormai sfumata, con una impossibile nuora, le faceva uscire dei sospiri che si sentivano fino all'altare; e a nulla le era giovato il pensiero che, oggettivamente, Ilaria fosse molto più attraente e, a denti stretti, più compatibile per il suo Marco, con il suo modo di fare materno, dolce e pratico delle faccende domestiche.

Già al primo mattino nella sua nuova casa Ilaria, per esempio, si era alzata prima di lei per preparare la colazione per tutti e tre, aveva lavato poi tazze e piatti, si era portata avanti per il pranzo preparando un sugo e impastato tagliatelle all'uovo; aveva persino stirato, dicendo che al mattino si lavorasse meglio con il fresco e Marco, a fianco a lei, con un libro in mano, lo aveva visto rinato.

Li aveva visti quasi sposini al ritorno dal viaggio di nozze, affiatati; suo figlio non era mai stato così felice, neppure quando era riuscito a invitare Giulia a casa per esercitarsi in matematica fra una rosicchiata di matita e un'unghia mangiata; era proprio un peccato che fossero fratelli; lì, in quella panca, durante quella Messa, Irene aveva cominciato a considerare l'ipotesi che, forse, Ilaria potesse aver ragione per loro due anche se, si era detta, un Disegno che comportasse l'amore di due fratelli sarebbe stato solo di Dolore per tutti.

Ma ritorniamo a quel pomeriggio domenicale a Sori. La spiaggia era ancora affollata e Ilaria era seduta a fare una maglia all'uncinetto seduta su un asciugamano all'ombra appoggiata con la schiena a un muretto e Marco era a fianco a lei in costume, pelle bianca, cappellino con visiera e un corposo libro di informatica preso in prestito dalla biblioteca. I loro amici erano qualche metro più avanti, al sole, le ragazze sdraiate con riviste di gossip e cuffie e i ragazzi, tra cui Oreste, palleggiavano a bordo dell'acqua facendo occasionali tuffi in onde alte per la brezza. Non c'era più afa e si stava benissimo.

«Va' con gli amici tuoi, ue' Ma', e' sto cca.», 

«No, Ili, tranquilla, tanto io non so giocare a pallone...», alzò le spalle, «e poi non mi sono portato la crema, mi scotterei. Sto all'ombra con te.»

Una palla rimbalzò fino a loro. 

«Palla!», Oreste urlò a Marco. 

«Arrivo...», Marco si alzò e le diede un calcio troppo forte e angolato; la mandò fuori strada, in acqua, a circa cinque metri dalla riva, e poco mancò che colpisse una signora con capelli biondi ossigenati e un bikini forse un po' troppo mini per la sua età che prendeva il sole su un materassino.

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora