Capitolo 33 (5°). Il racconto di una madre

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"Dicevo... è la volta buona. Sono ormai al sesto mese; cominciamo a preparare la cameretta, Nicola vuole fare le cose in grande. Si mette a ridipingere tutto di azzurro, 'deve venire Emanuele', dice, tutto azzurro, andiamo in giro per negozi, compriamo lettino, passeggino, carrozzina, armadio, fasciatoio, tutto, le colleghe in archivio mi fanno i complimenti, comincio a ricevere pensierini da tutti. Cresco, altra visita, sono sempre ansiosa, vado dalla ginecologa tutti i mesi, a volte anche due volte al mese, ma lei continua a dirmi: 'Silvia, perché vieni? Va tutto bene, Emanuele sta bene, tu stai bene, che vuoi di più? vai in Sicilia, rilassati un poco, vattene al mare e al sole, sei troppo tesa.'. La mia è una gravidanza a rischio, comunque, per endometriosi, entro in maternità prima del tempo, a metà luglio è il mio ultimo giorno di lavoro. Le colleghe mi fanno la festa, 'ci vediamo col bambino', dicono."

Emanuele cercò di trovare un senso a ciò che Silvia diceva, ma lo trovò troppo complicato e si limitò a fare qualche verso di approvazione mentre continuava a prendere il latte. Ilaria sentì che qualcosa di molto oscuro e tragico stava per arrivare, perché... dov'era quel secondo Emanuele dato che Silvia aveva detto di non aver figli? Ebbe paura del resto del racconto ma non se la sentì di dire a Silvia di interrompersi, sembrava che dovesse condividere la storia; forse le persone con Ilaria sentivano il bisogno di condividere le loro ferite, così come Andrea per quella di sua madre. Ilaria le disse:

"Silvia... ma... le colleghe... ho idea che... però..."

"Sì, Ilaria, dici bene, c'è un 'però'. Un grosso 'però'. Non mi videro mai col bambino. Ma... Andiamo avanti... In Sicilia è tutto bellissimo, mi faccio due settimane di mare senza pensieri, davvero, non penso più a nulla, non penso ad aborti, a ginecologhe, a ecografie, a corsi preparto, a camerette azzurre, sono solo io, io e mio figlio, io e il mio Emanuele in pancia che tutte le mattine mi sveglia alle cinque con i suoi calcetti, ma chi se ne importa! Va bene, non dormire, oh, finalmente! Sono serena, Nicola mi porta in giro come un trofeo per tutti i suoi parenti, saranno decine tra cugini, zii, nonni, madrine e padrini... non ne conosco uno, sorrido a tutti, vado con il mio pancione fiera in giro, come se io fossi l'unica donna incinta al mondo, io... io Silvia Palestro, ce l'ho fatta, avrò un bambino, avrò Emanuele! Nicola mi scatta un centinaio di foto col pancione, in tutte le salse possibili: col costume, vestita, da sola, in compagnia, di giorno, di sera, parla ad Emanuele al mattino appena sveglio e gli canta la ninna nanna alla sera. Torniamo a Genova, è fine luglio, inizia il settimo mese. Ormai... bè, ormai... ho un bambino in pancia, non è più un embrione, un feto, no? Cioè... è un bambino, vero? Si dice così? Un bambino..."

Un'ombra passò nel viso di Silvia alla parola bambino. C'era qualcosa che stava per capitare, anche Emanuele sentì una tensione salire e sembrò attaccarsi più forte al seno della madre come per volerla più vicina.

"...'Anche se uscisse adesso dalla pancia... non esce, ma metti che esca, lo si può già salvare, vero?', dico a Nicola, preoccupata, una sera a letto. Mi dice: 'Silvia, ma cos'hai? che ti prende? Stai bene! Tutto è a posto, siamo stati due settimane in Sicilia, tutto è andato benissimo, sei il ritratto della salute. Dormi.' e si gira dall'altra parte. Mi dico: 'ha ragione Nicola'. Perché mi viene in mente questo? No, la solita paura, ritorno però dalla ginecologa il giorno dopo, voglio essere sicura; mi fa i complimenti per l'abbronzatura, ma per il resto... non c'è altro. Mi dice: 'Silvia, basta, non ti preoccupare. Emanuele sta bene, il mare ha fatto bene a entrambi. Stai serena, ci vediamo a settembre. Vattene da qualche parte in agosto, non stare in città, cambia aria, ti preoccupi inutilmente.'. Il mio bambino sta bene, mi ripeto. Emanuele sta bene. E' un mantra che ripeto ogni volta che ho un dubbio. Emanuele sta bene. Il mio bambino."

Silvia cambiò espressione, come una donna che sta guardando una realtà diversa, da un altro piano, come se in quel momento stesse accedendo ad una parte della sua coscienza molto più in profondità, un abisso che la stava chiamando ad un ricordo atroce. Ilaria aveva visto già quell'espressione: sul volto di Marco quando ricordava la storia del gattino di gesso e dell'abbandono del papà, sul volto di Andrea quando ricordava la gru che sollevava il rottame che aveva contenuto il cadavere della madre. Ma... se ella riusciva a curare la ferita di Marco amandolo, la ferita di Andrea facendogli fare il papà... cosa avrebbe dovuto fare per sanare la ferita di Silvia? Ebbe un presentimento che la fece preoccupare.

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora