Capitolo 4 (I). La soffitta

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Il pranzo durò a lungo, gente andava, ma altrettanta gente entrava; il cancello e la porta di casa erano aperte e per un paio d'ore ci fu un flusso continuo di persone che venivano a porgere condoglianze a Maria e ai fratelli di Antonio.

In cortile la gente si fermava a chiacchierare, discutere, curiosare, si approfittava dell'occasione per scambiarsi gli auguri di Pasqua, bambini si rincorrevano incuranti del lutto con in mano un dolcino, fette di Colomba, panzerotti e cioccolata che Ilaria distribuiva dalle sue numerose uova; se le avesse tenute tutte per sé avrebbe mangiato cioccolata fino al Natale successivo. Balduccio, schivo di tutto il caos, dopo aver ricevuto da Ilaria una ciotola con molti avanzi, era andato a nascondersi nella stalla a farsi un pisolino.

Vennero anche lontani parenti di Antonio da paesi vicini a dare condoglianze alla vedova e all'orfana; alla vista di Marco tutti, dopo un breve momento di stupore, si rallegrarono della sua presenza e lo salutarono con affetto. Marco, tuttavia, rammentava a malapena i loro nomi e il grado di parentela; nell'incertezza chiamò tutti "zio-a" o "cugino-a" a seconda dell'età e se la cavò in modo democratico.

Marco, però, per quanto incuriosito da questa strana festa dopo un funerale, si guardava attorno anche per altro.

Non ebbe il coraggio di chiedere a Ilaria ciò che ella gli aveva chiesto e cercava una risposta controllando se uno o più ragazzi sarebbero venuti; ma non ne vide alcuno. Solo qualche compagna di classe, accompagnata dai genitori, venne a far le condoglianze alla sorella, abbracciandola imbarazzata e cercando di andar via il prima possibile. Una sola, Antonietta, arrivata subito dopo la scuola, per l'una e mezza, rimase poi per quasi tutto il pranzo; era la sua amica del cuore che viveva lì vicino.

Nessun ragazzo, se non sotto i dieci anni o sopra i venticinque, entrò in quella stanza e Ilaria, intuendo ciò che suo fratello non diceva, vedendolo a disagio mentre, seduto a tavola, non sapendo che fare, passava il tempo compilando le parole crociate sulla rivista comprata al mattino, si tenne distante anche da quelli più grandi.

Ogni tanto, quando riusciva a liberarsi dalle chiacchiere delle varie comari e dagli ordini che le dava la madre, andava da lui:

«Ue' Ma'?», gli chiedeva, «tutt'a posto? Tene ancora fame?» 

«No, Ili, davvero, un altro po' e scoppio...», le rispondeva sorridendo per poi rituffarsi in qualche enigma.

Il senso di protezione di fratello verso quella sorella che, non ancora tredicenne, aveva un aspetto da grande, si mescolava a un sentimento diverso che potremmo definire, a questo stadio del racconto, per Marco, curiosità per un modo di essere ragazza diverso da quello a cui era abituato e il piacere di sentire di essere importante per qualcuno che ci piace, mentre, per Ilaria era il piacere di servire una persona a cui si vuol bene che non sia più il padre, ma anche la necessità di legarla perché potrebbe, come lui, andare via per sempre.

Verso le tre, dopo aver fatto una dozzina di caffettiere e aver fatto girare vassoi con bicchierini di liquori di ogni tipo, la folla cominciò a diradarsi; Ilaria e sua madre cominciarono a riordinare.

A Marco, com'è intuibile, fu ordinato di stare seduto in poltrona a continuare a fare le sue parole crociate, malgrado quella volta, bisogna ammetterlo, si fosse sforzato di offrire il suo aiuto.

Ilaria si mise un grembiule e cominciò a lavare i piatti, Marco le si mise a fianco e la osservò ancora: quel grembiule a fiori stampati, le mani insaponate, l'abilità con la quale lavava; tutto contribuiva nella sua mente a formare un'immagine di donna e provò a immaginarsi la sua vita futura, dopo il funerale, fra quelle mura, l'orto e gli animali da guardare.

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora