Capitolo 5 (IV). Tenerezze e addii

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«Sine, grazie assai», Ilaria si illuminò. 

Marco andò al banco e se ne fece dare un mestolo che il venditore mise in un sacchetto di plastica trasparente; tornò da Ilaria, Maria e gli zii erano fermi a parlare qualche metro più sopra, i fratelli proseguirono verso la piazza.

«Non so se mi sia mancato proprio papà...», Marco teneva il sacchetto in mezzo e prese un lupino da succhiare; gli piaceva la salamoia, lo sbucciò con i denti e buttò la scorza a lato della strada, «forse fino al suo funerale non ci pensavo più, come anche a te, del resto, scusa.»

«E mo'?», Ilaria gli camminò più vicina, prese un lupino e lo mangiò anche con la buccia, gli sorrise.

«E "mo'''...», Marco le fece una smorfia, «dici bene, Ili, "mo'''...», sospirò, «ora so che papà c'era, adesso è andato, ma ci sei tu e so che mi mancherai...», altra buccia buttata lungo il bordo strada; notò che due ragazzi su uno scooter, passando, si erano voltati verso la sorella.

«Pure tu, ue' Ma'...» 

«Davvero?», erano intanto arrivati alla piazza, «cos'è che ti manca, qui?», Marco si diresse alla fontana.

«Nun e' facile ppe femmine vivere cca, ue' Ma'.», Ilaria alzò le spalle, storse la bocca.

«Ti credo...», Marco rise e buttò qualche buccia di lupino che aveva accumulato nella mano, «qui le donne fanno il doppio del lavoro degli uomini, ma anche tu non ti fai mai aiutare.»

«Nun e' chiste, ue' Ma', i' r' fazz ppe tte ca mi si' frate e te voio bene...», Ilaria mangiò un altro lupino, si appoggiò alla fontana, guardò verso il sole con occhi socchiusi.

«E cos'è allora, Ili?» 

Maria si era liberata, aveva visto i fratelli alla fontana e li stava raggiungendo con i cognati.

«'R homme de cca», Ilaria alzò le spalle, prese un altro lupino e lo mangiò a occhi chiusi, poi guardò il fratello; «nun tiene verute comme me àveno verute?»

«Sì. ..», Marco offrì il sacchetto a Ilaria. 

«Grazie, nu vo' cchiù» 

Marco mangiò gli ultimi due in silenzio, andò a buttare il sacchetto vuoto, tornò, si chinò per bere, la salamoia dei lupini gli aveva messo sete, «cioè, non so. . . », si sollevò, vide la sorella al sole, i capelli neri lucenti sotto il pizzo bianco, le spalle e parte del petto coperte da quello scialle traforato che proiettava ombre arabescate sulla pella bruna, in quell'abito che la faceva diventare quasi straniera del tutto, «anche io ti sto guardando adesso.»

«Nun teng paura e' te, ue' Ma'», gli sorrise, si chinò alla fontana per bere, Marco guardò le sue labbra bagnarsi con quell'acqua cristallina e fredda che scendeva verticale dal tubo piegato nel muro; divennero più rosse e lucenti; si staccò, «ah, ca bella frisca», si asciugò con il dorso della mano, qualche schizzo le era andato sul petto; il vestito, indosso a lei, non era poi così poco scollato e i lacci sotto il seno erano ben stretti e lo sollevavano alquanto.

«Perché sono tuo fratello?» 

«Nun e' sulo chiste, ue' Ma'», gli pose una mano sul braccio, «tu si' n'aute homme», lo guardò con quegli occhi scuri dove era difficile vedere il confine fra iride e pupilla, «i' nun avria paura e' te, anche si tu nu fossi frateme...», glielo strinse.

«Vuoi dire che qui una donna deve avere paura?», Marco la guardò negli occhi, l'acqua gelata che aveva bevuto contrastava con il calore che cominciava a sentire.

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora