Capitolo 7 (V). Marco si impunta

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Don Giambattista, o, come lo chiamavano familiarmente tutti, "Don Giamba", era il classico parroco di periferia urbana; sui trentacinque anni, già però quasi totalmente calvo, occhiali, magro e un po' pallido; malgrado il fisico aveva però lo spirito dell'animatore; del resto in quel periodo c'erano ancora gli effetti del boom delle nascite dei primi anni settanta, unita all'immigrazione dal sud, e c'erano molti giovani.

Amministrava sacramenti e partecipava a gite, faceva processioni e giocava a pallone, raccoglieva i ragazzi dalla strada e li portava in oratorio; aveva idee progressiste, cantava canzoni moderne accompagnandosi con la chitarra e però era anche rigoroso in Chiesa e le sue omelie erano quasi delle lezioni di catechismo, o addirittura di teologia, sopportabili solo perché brevi. Cercava di piacere sia ai giovani che agli anziani, con il risultato di scontentare un po' entrambi, ma ce la metteva tutta.

Irene e Marco li aveva conosciuti fin dal suo insediamento tre anni prima, dopo la scomparsa del vecchio parroco, e aveva preso il loro caso sotto le sue ali; Marco già da tempo era in parrocchia, avendo frequentato gli scout e catechismo fin da bambino, ma Irene si era sempre messa da parte, perché il precedente parroco, di stampo antico, pur non accusandola, non aveva mai del tutto compreso le ragioni del suo divorzio.

Con Irene, dunque, Don Giamba aveva lavorato di fino, cominciando a chiedere a Marco di farsi accompagnare da lei, aveva cercato di ascoltarla più con le orecchie da uomo che da prete e aveva poi cercato di inserirla nel gruppo delle mamme scout; il suo lavoro le aveva impedito di partecipare a tutte le riunioni, ma almeno era riuscito a non farla sentire troppo esclusa.

Non bisogna dunque stupirsi se Irene, non sapendo che pesci prendere, chiese aiuto proprio a lui, visto che conosceva anche molto bene suo figlio; gli telefonò chiedendo un incontro e due giorni dopo, in un bel mattino di sole — aveva il turno in albergo al pomeriggio — andò in chiesa.

«Irene, ciao...», il don le andò incontro vedendola in sacrestia. 

«Buongiorno, don.» 

«Prego accomodati...», il don l'accompagnò nel suo ufficio, «sono contento di vederti, Marco lo vedo poco ultimamente; studia, vero?», la fece passare e poi chiuse la porta.

«Tutto il giorno, don; gli devo ricordare di mangiare e dormire, altrimenti non farebbe altro.»

«È un bravo figlio...», il don si sedette e le indicò la sedia davanti alla scrivania, «accomodati...», la guardò meglio, «ma tu come stai? Non ti vedo bene...»

«Male, don», Irene cominciò a lacrimare. 

«Dimmi...» 

«Non riconosco più Marco, non è più lo stesso da quando è andato al funerale di suo padre!»

«È un colpo duro perdere il padre a diciott'anni Irene, fosse pure un padre assente come il suo...», sospirò, «gli devi dare tempo di elaborare il lutto.»

«Non è quello, don!», Irene si asciugò le lacrime. 

«E cosa?» 

«È che...», Irene si soffiò il naso, «lo sa che mio marito aveva avuto un'altra figlia?»

«Me n'avevi parlato, sì...», il don storse la bocca, «ma non ricordo molto a dire il vero.»

«Ecco...», Irene lo guardò fissa, «si chiama Ilaria, adesso sta per fare tredici anni e credo che mio figlio, andando giù, se ne sia innamorato.»

«Innamorato...», il don tamburellò sulla scrivania per qualche secondo, sorrise, «non ho mai visto Marco innamorato, a dire il vero.»

«Ma lo è! Pensi che l'altro ieri mi ha detto che vuole andare a Salerno a fare l'università per starle vicino.»

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora