Capitolo 39 (4°). Emanuele nella camera azzurra

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Dopo la telefonata Andrea e Silvia portarono Emanuele nella camera azzurra e Silvia, con un poco di emozione, lo mise nel lettino per la sua prima notte lì. Emanuele capì di essere nel letto dell'altro Emanuele; era molto comodo, che sciocco quel bambino era stato a non scendere: si sarebbe trovato quella bella cameretta e quel lettuccio caldo; vide il giochino con la corda appeso, quel giochino che poi Ilaria non aveva preso, e fece un altro grido.

"Amore, cosa c'è? Vuoi sentire la musica?"

Silvia tirò la cordicella ed Emanuele sentì di nuovo quella piacevole ninna nanna, cominciò a sgambettare di meno e a prepararsi per dormire: la musica metteva un po' sonno. I due erano testa a testa che lo guardavano da sopra le sbarre: Andrea era sollevato, non gli faceva più impressione stare lì dentro: quella camera non era più la stanza mortuaria di una piramide, lasciata in ordine per un bambino mai che non sarebbe mai arrivato, ma era diventata la stanza da letto di un bambino vivo, in salute; era però Silvia ad esser pensierosa:

"Che effetto ti fa Silvia vederlo in questo lettino, in questa camera?"

"Andrea non so... mi fa l'effetto di un dono; so che è di Ilaria e tuo ma è come se fosse un po' anche il mio adesso. Amore mio... finalmente ci sei."

Il giochino finì la carica; Emanuele sentì parlare papà e l'altra mamma e gli passò il sonno, pensò che l'altra mamma volesse ancora giocare visto che continuava a parlare dell'altro bimbo giocherellone. Ma veramente parlava dell'altro? Emanuele ebbe il sospetto che continuasse a confonderli; avrebbe voluto avvisare il papà, dirgli che, insomma, c'era un piccolo equivoco, un 'qui pro quo' dato da un'omonimia, ma sembrava che neanche il papà si accorgesse dello scambio di persona che l'altra mamma faceva. Silvia guardava Emanuele sgambettare, più si cercava di coprirlo con il piumino e più lui se lo toglieva calciandolo, ma è anche vero che in quella stanza c'era molto caldo e il pigiama felpato che gli aveva messo sarebbe stato già sufficiente per dormire al calduccio. Era tranquillo, docile, sorridente un bimbo che si faceva voler bene facilmente, di temperamento tranquillo, un bimbo che era venuto quasi, dal suo punto di vista, come un dono. Silvia non si capacitava, ancora, di quella novità: guardava Emanuele e risentiva le emozioni che avrebbe voluto sentire sei anni prima, posare suo figlio lì, guardarlo addormentarsi pian piano; gioie che le erano state negate e che, all'improvviso, erano permesse da una serie di coincidenze stranissime. Non era figlio suo, ma in quel momento non era neppure di Ilaria: era nella sua stanza, nella sua casa, nella camera che aveva preparato con suo marito diversi anni prima; guardò anche Andrea, per lui sentiva un affetto diverso che per Nicola, più materno, meno passionale, erano passati anche tanti anni da quella Silvia ventenne che aveva visto in Nicola le spalle forti a cui appoggiarsi per tutta la vita. In Andrea vedeva il ragazzo solo, poetico, certamente, ma anche ferito e fragile. Lo guardò mentre osservava suo figlio e capì che dentro di lui, forse in fondo, nascosto alla coscienza, c'era ancora il rimpianto di non essere a fianco ad Ilaria, il suo addio difficile ancora si notava; ne ebbe quasi la certezza quando lo vide accarezzare il bimbo, provare a tirargli su la copertina ed Emanuele, capendo che il papà volesse giocare al gioco "chi tira meglio la copertina? io o te?", sgambettò ulteriormente per tirarla via, Andrea rise e gli disse:

"Ma sei proprio una peste, eh? Quasi come tua mamma che non me le dà mai vinte."

Ma non sentì gelosia, perché comunque Ilaria forse era la mamma, ma il bambino era lì, in quella camera azzurra, in quel luogo dove il suo Emanuele sarebbe dovuto stare; ed Andrea era costretto a servirsi di lei per dare una mamma al figlio, ed ella di lui per avere un bambino; c'era amore, certamente, ma anche il sentimento che ognuno dei due avesse bisogno dell'altro per riempire un vuoto. Vedendo Andrea giocare con la copertina con Emanuele le fece venire la nostalgia di Nicola, di ciò che avrebbe potuto essere e non fu, provò a immaginarsi suo marito, e non Andrea, nella parte opposta del lettino, ma non ce la fece: era più facile immaginare che i due bambini fossero lo stesso, ma non i due adulti; nello stesso tempo ringraziò comunque dentro di sé, anche se non Dio, al quale forse non credeva, la vita che, comunque, le aveva dato una compensazione. Le venne da piangere, però, per scaricare il dolore di tutti gli anni in cui alla sera passava di fronte a quella camera rassegnandosi a vederla sempre vuota. Aveva avuto ragione a tenerla in piedi e non a distruggerla come aveva suggerito suo marito all'epoca; per la fermezza di tenere quella stanza aveva perso Nicola ma aveva acquistato un altro Emanuele. Si girò, non voleva farsi vedere in lacrime né da Emanuele, né dal papà, ma Andrea si accorse che qualcosa non andava, smise di giocare con la copertina e andò vicino a lei. Emanuele pensò che il papà fosse proprio un giocherellone, quasi come lo zio Marco, peccato che quella seconda mamma fosse sempre un po' triste, avrebbe voluto consolarla, si limitò a continuare a sgambettare e a rotolarsi un poco, era ancora un po' debole per provare a mettersi seduto da solo, ma ci stava provando cercando l'appoggio delle sbarre; in quell'attività non si curò degli adulti e dei loro discorsi lì a fianco.

"Silvia, tutto bene?"

Si accorse che stava piangendo. "Non è tutto bene, Silvia, che... c'è?"

"Non so... precisamente Andrea. Non avrei mai pensato...di riempire questa stanza con Emanuele... era sempre così vuota in questi anni, mi faceva impressione, sembravo forte ma anche a me talvolta faceva paura, ma mi avrebbe fatto più impressione toglierla, sarebbe stato come seppellirlo due volte. Anche tu negli ultimi tempi dicevi che era strano averla conservata, ma...vedi, alla fine... sta servendo anche se all'inizio rimase così: come un desiderio di un qualcosa impossibile che Nicola non capì e volle fuggirne."

"Eppure adesso c'è, no? L'impossibile... è diventato possibile, in un modo strano. Silvia, guardami... io ci sono, Emanuele c'è; c'è un motivo, per questo, vero?"

"Andrea, stai parlando come Ilaria! E non te ne rendiconto! Parli anche tu di 'motivi' quando con lei fai il razionale e parli di casi!", Andrea la guardò come un bambino sorpreso a rubare i cioccolatini; gli sorrise un poco, gli diede una carezza: "Scusa, caro, lo so che l'hai detto in senso figurato...Ma allora è veramente uno dei suoi disegni? E se lo fosse veramente? Perché siamo qui Andrea? Perché con un altro Emanuele al posto del mio? Perché? Non è che io non voglia bene al tuo Emanuele, ma gli voglio bene perché è figlio tuo o perché lo vedo come il mio ritornato?"

"Non è figlio mio, Silvia, non è tuo. Se andiamo avanti, come spero, sarà figlio nostro."

"No... no... ", Silvia si prese il viso nella mano, piangeva. "No, non dirmi questo Andrea. Non illudermi su questo, la realtà è ben più triste: il mio è al cimitero! Questo è tuo e di Ilaria, non sarà mai mio, è vano da parte mia sperare, credere di colmare una mancanza con il tuo fallimento. Devi aiutarmi a vedere la realtà Andrea, a volte... è difficile; è stato tanto il dolore che ora faccio fatica, scusami"

Andrea la lasciò tranquilla a sfogare un poco carezzandole i capelli, poi disse serio:

"Silvia, io non ho fallito con Ilaria, non ci abbiamo mai neanche provato. Ma lo sai, vero? Te l'ho raccontata la storia, te la ricordi, ci hai creduto, spero, anche se sembra assurdo. Ilaria è stata la storia di una sera, neppure, neppure una storia. Un atto e basta: farlo una volta per avere Emanuele. Qualche minuto per fare un bambino. Sì è un fallimento, se vuoi chiamarlo così, un atto... che poteva portare a qualcosa di bello, forse, con lei, ed invece è rimasto il ricordo un po' squallido di due persone unite per tutt'altro che amore: io per... bo', attrazione fisica e alcool in corpo, lei per... le sue cose mistiche con Marco: io direi che è stato piuttosto un equivoco di una sera che però ha portato al nostro Emanuele. Alla nostra famiglia, qui, oggi."

"Ma...la famiglia, Andrea, è con Ilaria."

"No, Silvia. La famiglia di Emanuele sarà con chi vuole stare con me. Ilaria mi ha rifiutato, tu no. E' ben diversa la cosa."

La abbracciò, Emanuele sentì che il papà stava dicendo qualcosa a proposito di famiglia, quel lettino gli piaceva, era bello, così, con il soffitto e le pareti azzurre. Gli sembrò di volare e di essere ancora con quell'altro Emanuele giocherellone e, in questi pensieri, mentre i due parlavano, si era addormentato.

La prima notte con Emanuele comunque andò benissimo: Emanuele dormì di filato dalle nove alle quattro del mattino, il latte in polvere del resto era più nutriente e Silvia gliene aveva dato un biberon sostanzioso, si svegliò solo perché si sentiva bagnato. Silvia aveva già messo sul suo comodino e nella camera azzurra una di quelle radioline spia, il suo sonno era leggero, come quello di una madre in ascolto. Appena sentì muoverlo spense la radio per lasciar dormire Andrea a fianco e andò nella stanza azzurra; accese la lucina da notte e gli disse:

"Amore di mamma, cosa hai? Ti senti freddo? Hai bagnato il pannolino? Vuoi un po' di latte?"

Emanuele si sentì spaesato da quelle attenzioni diverse da sua madre ma... sempre belle, sempre di una mamma, anche se non si ricordava di esser stato dentro quella pancia. Silvia si accorse che ciò che voleva era solo stare asciutto e lo cambiò e, dopo averlo cambiato, lo cullò un poco; Silvia lo vide mentre pian piano cadeva nel sonno, ripensò a quel che aveva detto Andrea e un brivido le corse lungo la schiena pensando a quel pigiama che ora era del suo bambino comprato, però, sei anni prima, ancora nuovo, ancora, fino a poche ore prima, chiuso nel suo sacchetto di nylon del supermercato. Una gravidanza veramente lunga. Si ricordò del suo Emanuele, di ciò che gli aveva detto quando uscì dal suo ventre; era da anni che l'aveva rimosso ma ora lo ricordò benissimo, come se lo stesse dicendo in quel momento: l'aveva chiamato dolcemente nello stesso modo con cui stava parlando a questo Emanuele e gli aveva detto mentre lo reggeva esanime:

 "Amore di mamma, mi dispiace tanto, ma ci rivedremo."

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora