Capitolo 40 (II). Due anelli

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Il pranzo di Capodanno fu l'occasione per riunire tutti quanti a tavola dai genitori di Anna; purtroppo Irene non poté esser presente, perché al lavoro, ma venne aspettata alle tre per prendere almeno un caffè e un dolce insieme. L'atmosfera era gioiosa; Marco era finalmente un uomo libero, l'indomani ne avrebbe, si spera, avuto la conferma.

Luigi si dilungò nel raccontare a Irene tutte le cose che Marco avesse fatto a Treviso, di come i genitori di Sara lo avessero accolto sorvolando, per fortuna, sulle sue, ahi noi, scarse, doti di fantino e di golfista: Luigi era riuscito a malapena a insegnargli qualche tiro semplice ma almeno si era divertito; Marco era stato un allievo comunque volenteroso anche se con qualità fisiche decisamente inferiori a quelle intellettive. Irene, come sempre, si imbarazzò tantissimo e non seppe altro che dire questo:

"E' ormai più di un anno che avete accolto mio figlio qui da voi. Nel fondo del mio animo io penso che questa fortuna mio figlio la meriti, perché è mio figlio ed è buono, lo so, ma questo non diminuisce il vostro buon cuore. Vi ringrazio molto."

Sara per la prima volta disse queste parole:

"Signora Irene, grazie a lei di aver cresciuto un uomo così: non ce ne sono molti in giro; in questi giorni dai miei genitori in Veneto ho capito molte più cose di suo figlio che in tutto quest'anno passato. Sì, lo so, Marco... ", vide che Marco incominciava ad arrossire e a torcersi le mani, per fortuna Anna lì vicino gliele prese fra le sue cercando di tranquillizzarlo."...non c'è bisogno di arrossire, tu sei quel che sei e va bene così. Mia figlia con te ha raggiunto una felicità che non pensavo più possibile; è come se me l'avessi fatta rinascere, ti devo quindi ringraziare due volte: perché le vuoi bene e perché la fai star bene. Questo che tu fai è impagabile ed io l'ho imparato a conoscere. Ora quindi... sei libero?"

Marco si schiarì un poco la voce, imbarazzato:

"Eh, sì, signora, direi di sì, domani vado al Comando, qui vicino, ma credo proprio di esser fuori pericolo, diciamo. Libero, sì... poi...", ebbe un piccolo scatto di riso nervoso, ma se lo fece passare. Sara lo incalzò, voleva capire cosa volesse intendere con quel 'libero'. Libero per cosa?

"...allora... poi...", disse invitandolo a proseguire.

Calò il silenzio; per qualche secondo il tempo rallentò fin quasi a fermarsi: Irene si mise la mano al cuore: "Oh... Dio mio, reggimi, e reggi mio figlio.", disse a sé stessa in un sussurro. Marco sentì che forse doveva dire qualcosa, strinse le mani di Anna, la guardò un attimo, il suo sguardo non dava dubbio... diceva: "mia mamma si aspetta che tu lo dica.", allora Marco prese coraggio, si guardò intorno e vide che sua madre stava aspettando con la sua stessa ansia che parlasse; guardò l'ormai suocera in pectore in viso e le disse:

"... e poi... io ed Anna vorremmo sposarci, se voi siete d'accordo."

Si guardò intorno come se avesse detto un'esagerazione o fosse stato maleducato o una gaffe; ebbe paura della reazione, forse aveva interpretato male il segno di Anna? Per fortuna Luigi fu il primo ad alzarsi; andò verso Marco, si chinò, gli prese le mani da quelle di sua figlia, lo invitò ad alzarsi e gli disse:

"Ho un figlio andato in America, ma adesso ne ho un altro che ora è qui con noi."

Lo abbracciò come proprio si può abbracciare un figlio; le tre donne rimaste sedute scaricarono la tensione scoppiando in lacrime all'unisono e Franco, che aveva sentito dalla cucina, versò anch'egli una lacrima per quel figlioccio che stava apprezzando ogni giorno di più. Marco si lasciò abbracciare come un bambino, sentì la tensione sciogliersi fra le braccia di quell'uomo che l'aveva chiamato figlio, sentì di essere accolto in un modo che non aveva mai provato neppure dal suo proprio padre; rivide in un lampo con gli occhi della mente la tomba di Antonio, il senso di vuoto che aveva ogni volta che toccava quella lapide, ed ebbe un pensiero, improvviso, in testa: "Papà, ce l'ho fatta papà, ce l'ho fatta a non aver più paura! Ventuno anni di solitudine a vedere quel tuo vuoto in me, ma ora l'ho riempito papà, ora ti lascio andare e riposa in pace. Tuo figlio, ora, è diventato uomo. Ho capito finalmente cosa vuol dire essere amati". Si lasciò andare e le braccia che gli erano rimaste penzoloni si mossero per abbracciare Luigi e gli disse: "Grazie, grazie papà".

Dolore e perdono (Parti I - VI) [in revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora