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Gabriel's pov

Dalle ore che ho passato in sua compagnia mi sono reso conto di un paio di cose.
Non è facile restare vicino ad Edwin, ma ne vale la pena.
Spesso il diavolo mi risponde male, con molte parole scurrili, ma nel suo modo di rispondere c'è comunque qualcosa di dolce e diverso dagli altri.
È anche divertente vedere le sue varie reazioni, tuttavia non è piacevole essere il bersaglio delle sue ire.
Non è stato facile convincerlo, e non credo nemmeno d'esserci riuscito, ma ho tutta l'intenzione di andare con lui alla mensa degli inferi.
Noi esseri celesti non abbiamo bisogno di mangiare, ma il sapore del cibo è comunque piacevole quindi per non allontanarci troppo dalle nostre precedenti vite ogni tanto mangiamo, anche se con il passare del tempo ho notato che i miei coetanei riducono i pasti fino a smettere del tutto.
Mi chiedo come sia il cibo degli inferi, non sono schizzinoso quindi sono abbastanza ottimista di poter mangiare qualsiasi cosa abbiano da offrire, mal che vada rifiuterò.
È sempre difficile raggiungere il loro territotio per via dell'odore che mi fa pizzicare gli occhi, ma quel calore è talmente piacevole che mi viene quasi da sorridere.
Non ho avvertito nessuno dei miei vicini che non sarei tornato dopo il lavoro, non che ci passi molto tempo assieme ma non vorrei si preoccupassero, non si sa mai.
Un giorno magari potrei sdebitarmi con Edwin portandogli qualche piatto dal paradiso, lì tutto è così buono e di alta qualità.
Sono soddisfatto di essere riuscito a seguirlo, tante volte ha provato a scacciarmi in malomodo ma anche io so essere molto testardo, inoltre sono curioso di conoscere i suoi amici, per il momento però mi sto limitando al silenzio, non voglio perdere il poco terreno conquistato.
Ad un certo punto ci fermiamo davanti ad un edificio vicino al dormitorio. L'aspetto esterno è simile, solo più basso, l'interno ovviamente non è luminoso quanto il paradiso, ma posso farne a meno.
Per la stanza ci sono vari tavoli a cui tantissimi diavoli sono seduti e stanno mangiando, non so bene come si chiamano i loro piatti. Spostando lo sguardo vedo che nella zona della cucina ci sono altri diavoli che lavorano, tre se non mi sbaglio. Sembrano fare del lavoro di squadra, è molto bella come cosa, forse assomigliano tutti ad Edwin.
  -Dove ci sediamo?-

Edwin's pov

Nervi nervi nervi nervi. Ma che cazzo vuole si può sapere? Se gli angeli sono tutti così allora faccio bene ad odiarli; li odio tutti, ma soprattutto odio lui. Perché vuole seguirmi a tutti i costi? Vuole essere spennato vivo per caso?
Ho passato una fottuta ora a convincerlo a tornare tra le nuvole e non venire più all'Inferno e soprattutto di non seguirmi come se fossi sua madre.
Giuro che mi ha fatto imprecare in dieci lingue diverse.
Ho capito due cose su di lui. La prima è che riesce ad essere testardo quasi quanto me e non è da tutti, ne prendo atto. Solo non capisco perché si stia ossessionando a me, non ha un altro pennuto a cui rompere le palle? Perché proprio a me?
La seconda è che mi fa incazzare piú di chiunque altro qui, avrei voluto picchiarlo altre due volte. Ma ogni volta che ci pensavo rivedevo lui ferito e con le osse rotte in lacrime stretto tra le mie braccia...
Non capisco perché la cosa mi disturbi così tanto, perché sento questi strani sensi di colpa? Non li ho mai sentiti, non così almeno. È capitato solo una volta, il primo giorno in cui ci mandarono in quella fottuta casa che per me è stata anche la mia tomba. Mi sentii in colpa perché loro piangevano, volevano la loro madre e io non potevo fare nulla se non abbracciarle e tenerle lontane da lui e da chiunque.
Forse in qualche modo, mi ha ricordato loro, non trovo altra soluzione.
Alla fine ho accettato solo perché si era fatto tardi e dovevo sbrigarmi. Sta situazione non mi piace, fortuna che ho un permesso speciale per il lavoro, domani tocca a me cucinare e di conseguenza non vedrò il pennuto per tutto il giorno. Evviva.
Volo spedito senza guardarmi indietro, so che mi sta seguendo. Per fortuna se ne sta zitto e buono, finalmente un po' di silenzio e di pace.
Alla fine riusciamo ad arrivare alla mensa, spalanco la porta con un calcio ed entro, stando attento al pennuto.
La mensa è per metà piena, conosco praticamente tutti qui dentro, alcuni me li sono anche fatti nemici.
Quando ci vedono, tutti alzano lo sguardo. Non mi interessa, mi guardo intorno per localizzare il mio tavolo. Non scherzo, in quel tavolo mi ci siedo solo io e al massimo faccio sedere Mary, nessun altro.
Con la coda dell'occhio vedo che uno si alza andando verso di noi, lo riconosco subito. È poco più basso di me, ha una carnagione più scura e gli occhi chiari. In vita era un ladro.
  -Finalmente è arrivato il figlio di puttana, te la stavi spassando con le rocce o con le anime?-
  -Con tua madre, Alex. Dovevi sentire come urlava-.
Ci mettiamo a ridere a questo scambio di battute, solo con lui riesco a scherzare in questo modo e sentirmi più libero.
  -Vedo che sei sempre il solito stronzo- poi guarda vicino a me. -E vedo che non sei solo, ci hai portato il secondo? Che gentile-
Si gira verso quelli che cucinano oggi.
  -Hey ragazzi, qui abbiamo un pollo da farvi spennare, che ne dite? Magari ce lo facciamo arrosto-
Tutti si mettono a ridere, io invece mi sto incazzando. In molti adesso fissano Gabriel con sguardi minacciosi, stringo i pugni e li guardo anche io. Sono ad un passo da spaccare i denti a tutti.
  -Spiacente Alex, ha troppa poca carne, un'altra volta-.
Finalmente vedo il mio tavolo, Mary ci fa un segno con la mano, perfetto. Senza dire altro afferro un braccio di Gabriel e mi dirigo lì: è uno degli ultimi tavoli, quello più lontano. Una volta lí, Mary si alza e mi saltella attorno.
  -Fratellone, sei arrivato! Ti aspettavo!-
Poi si mette a saltellare vicino a Gabriel.
  -E tu sei l'angelo che mi ha chiesto aiuto! Ciao, che ci fai qui?-
  -Allora sei stata tu a farlo venire in camera mia, Mary- dico con un tono arrabbiato.
  -Scusa fratellone-
Sbuffo e faccio sedere Gabriel di fronte a lei.
  -Aspettami qui e non muoverti per nessun motivo o ti ci attacco con i chiodi- gli dico per poi andare a fare la fila con gli altri.



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