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Alex's pov

Aleximander non è proprio un nome che mi si addice, preferisco essere chiamato semplicemente Alex. È un nome meno assurdo, più corto e più facile da incidere nelle menti altrui. Forse i miei genitori si aspettavamo diventassi un ragazzo saggio, con un buon lavoro, moglie e figli bellissimi. Invece sono nato e cresciuto nel peccato.
La mia famiglia non navigava nell'oro, erano persone umili abituati al lavoro nei campi. Sono emigrati dalla loro patria per cercare una vita migliore, che sentimento sciocco. Anche nel nuovo paese non trovarono altro se non duro lavoro e miseria. Mia madre era stanca, quella situazione e il matrimonio la opprimevano. Così ebbe la fantastica idea di farsi sedurre da un uomo facoltoso, da quel tradimento sono nato io. Quando quell'uomo seppe della gravidanza abbandonò mia madre, non voleva saperne nulla di me e di lei. Per lui era solo una scappatella, voleva quella donna e se l'è presa, tutto qui. Umiliata, mia madre tornò da suo marito pregando il perdono e quell'idiota la riprese in casa. Poteva avere cento donne migliori e invece si è tenuto una fedifraga e un frutto non suo, patetico. Ha provato ad essere un padre per me, a darmi affetto e attenzioni, ma dopo pochi anni si è semplicemente arreso. Era molto severo, urlava come un pazzo e usava la cinghia fino a lacerarmi la pelle. Vomitava su di me tutte le sue frustrazioni e i suoi fallimenti. Era colpa mia se avevamo ben poco da mangiare, era colpa mia se vivevamo in venti metri quadrati, era colpa mia se non trovava un lavoro decente ed era colpa mia se il suo matrimonio era morto. Molti vivendo in queste condizioni finivano per diventare fragili e sottomessi. Io no, fin da bambino ho imparato ad essere aggressivo, a picchiare, ingannare e manipolare. All'inizio erano solo piccole marachelle per avere attenzioni e leccornie, ero prepotente verso qualunque altro bambino.
Crescendo ho alzato sempre di più la posta in gioco. Da adolescente ho iniziato con alcuni furti, scatenando risse, a manipolare altri per renderli miei sottoposti. Un paio di volte sono stato mandato in un istituto per ragazzi difficili per alcuni mesi. È stato utile per affinare le mie capacità ingannatorie. Entrambe le volte ho fatto credere di essere diventato un cittadino modello. Mentre usavo lusinghe e davo aiuti, facevo sparire ogni oggetto di valore. Nel quartiere in molti mi temevano, altri erano così stolti da sfidarmi. Entravo nelle case durante la notte, mi facevo dare dei soldi dai più deboli, pestavo a sangue chi mi faceva arrabbiare. Nessuno mi diceva nulla, nessuno poteva fermarmi e gli agenti locali non muovevano un dito. C'era un poliziotto, non ne ricordo più il nome, veniva da un'altra città e voleva dettare legge nel mio quartiere. Il poveretto ha perso l'uso delle gambe, non si è mai saputo chi fosse il colpevole.
La soddisfazione più grande, poi, l'ho gustata dentro casa mia. Quell'idiota che doveva essere un padre non riusciva a tenermi testa, si sentiva forte solo con chi era più debole di lui. Io ero cresciuto, era il mio turno di essere severo con lui. Lo insultavo, lo denigravo e se lo ritenevo giusto lo picchiavo fino a farlo sanguinare. Mia madre teneva lo sguardo basso quando passavo da una stanza all'altra, mi diceva ogni tanto di volermi bene e poco altro. Non ha mai cercato di fermarmi, né ha mai voluto parlare di ciò che facevo. Evitava i giornali, sviava alle domande dei vicini e si copriva le orecchie ogni volta si parlava di me. Ancora adesso non so se lei avesse paura di me o semplicemente si fosse pentita di avermi partorito. Ero un ragazzino ancora immaturo, mi sentivo il re del mondo, mi sentivo potente e intoccabile. Invece ero un teppistello conosciuto solo nel mio quartiere.
In poco tempo tutto quello che avevo conquistato non mi bastava più. Non avevo alcuna intenzione di vivere nella miseria, di essere un fallito come quell'idiota. Volevo essere un uomo, volevo terrorizzare intere città. E per farlo mi ero in primis sbarazzato di quei sottoposti e lecchini, sarebbero stati semplice zavorra inutile. Mi avrebbero potuto tradire o cercare di sovrastarmi. Una volta divenuto maggiorenne mi procurai alcune armi da fuoco e svariate munizioni.
Per dieci anni sono davvero stato il terrore di intere città. Ho vissuto con un unico monito da seguire: "prendi tutto ciò che vuoi senza avere alcuna esitazione. Qualunque cosa sia, se denaro, potere o sesso, fai di tutto per averla". Ho compiuto rapine a mano armata, ho rapito per avere riscatti, ho ucciso per divertimento e per eliminare testimoni. Quando adocchiavo un obiettivo interessante e soddisfacente, nulla mi faceva desistere. C'erano questi gemelli adolescenti, un ragazzo e una ragazza belli come la luce del sole. Ho abusato di entrambi più volte, il ragazzo piangeva e mi supplicava di smettere. Mi eccitava tanto come cosa, gli procuravo più dolore possibile per averne di più. La ragazza, invece, era più silenziosa e accondiscente. Ben presto mi sono annoiato di lei, l'ho uccisa sparandole in fronte. Il ragazzo è durato per altre tre settimane, lo spostavo da un luogo all'altro e mi assicuravo di renderlo innocuo. Un giorno ha tentato la fuga, una volta ripreso l'ho ucciso. Non permettevo a nessuno di sfuggirmi, con l'uccisione prendevo possesso della vita altrui.
Ero diventato molto famoso, le forze dell'ordine mi cercavano senza sosta, mie immagini e descrizioni venivano trasmesse nei vari media. La mia ultima rapina è stata grandiosa. Ho preso tutti i soldi possibili, ho ucciso tutte le persone all'interno tranne un bambino, l'ho usato come scudo e sono fuggito più lontano possibile. Quando quel moccioso è diventato inutile l'ho eliminato per non avere un peso. Non potevo nascondermi e non avrei passato una vita braccato come una preda. Ero io il predatore, io avevo il controllo della situazione, non mi sarei fatto catturare. Ho distrutto tutto il denaro e con una pallottola mi sono liberato da tutte le responsabilità.
Ho passato degli anni come semplice anima patendo la pena destinata agli avari. Detestavo essere trattato in quel modo, ma sono rimasto buono in attesa di un corpo. Una volta ottenuto ho ripreso le mie attività criminali. Rapine, risse sanguinose, sesso con chiunque, rispetto e potere, tutto tra le mie mani. E un giorno è arrivato Edwin, un ragazzo dai capelli ricci neri e gli occhi scuri, la pelle di un grigio chiaro e una corporatura magra. Il suo era lo sguardo di chi aveva perso tutto nella morte e nel dolore. In quel momento ho deciso sarebbe stato il mio nuovo obiettivo, lo avrei avuto in un modo o nell'altro. Ho passato questi quasi cinque anni a fingere di essere suo amico, non è stato facile vista la sua diffidenza verso gli altri. Sono stato amichevole, gli ho dato aiuto, vicinanza, lusinghe, carinerie e cose di questo tipo. Si fidava di me e delle mie parole, gli ho fatto credere di essere un rottame, di non valere nulla. Gli stavo facendo credere che solo io lo potevo apprezzare, solo per me contava qualcosa. Stava andando come previsto, ancora poco tempo e mi avrebbe pregato in ginocchio per avere una notte con me. E poi è arrivato quell'angelo a rovinare tutto quanto. Stavo perdendo il controllo di quel ragazzo. Ma io, Alex, prendo sempre ciò che voglio. Certo, una notte non mi basta, ne voglio di più, non mollo la presa. Quell'angelo, però, è pericoloso. Non mi riferisco solo ai suoi poteri o alla sua forza fisica, insolita per uno così. Con il suo stupido amore farà credere a Edwin di essere importante e stronzate del genere, rovinando anni di lavoro. Devo trovare una nuova strategia ora che ho scoperto le mie intenzioni.

Il Piacere del PeccatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora