11. Frocio è chi il frocio fa

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Ogni giorno che passava, Claudio si stava convincendo che trasferirsi a Bologna fosse stata una delle peggiori decisioni che avesse preso in vita sua. Contrariamente al suo solito, non stava riuscendo a farsi amici. Buona parte dei compagni di squadra lo trattava con indifferenza, compresi il capitano Gus e i suoi sodali veterani, che si limitavano ogni tanto a lanciargli qualche distratta presa in giro chiamandolo Jem. Raul Mangiante lo odiava apertamente. L'unica piacevole eccezione era Fabrizio: ma Claudio non era il tipo che amava interagire ossessivamente con una singola persona all'interno di un gruppo, isolandosi dagli altri.

Probabilmente il fatto che Claudio fosse evidentemente il più scarso di tutti non aiutava a renderlo più simpatico, né ai compagni né all'allenatore, che sembrava detestarlo, e non solo per l'imperdonabile atto di essersi tinto, nel passato, i capelli di un colore poco mascolino.

Aveva da subito preso l'abitudine di fermarsi mezz'ora in più dopo la fine degli allenamenti, per continuare a esercitarsi, soprattutto negli scatti e nell'agilità. Non era certo che fosse una buona idea, stanco com'era alla fine di una giornata di studio (aveva l'esame di Anatomia, a fine mese) e due ore e mezza di attività fisica, ma sperava che col tempo la cosa avrebbe dato frutti positivi.

Ogni volta che si trovava da solo, nel campo ormai deserto, non poteva evitare di pensare a Tiziano. Lui lo aveva sempre fatto: fermarsi un'ora in più, iniziare un'ora prima. L'aveva fatto durante l'infanzia, l'aveva testardamente fatto durante i due anni in cui aveva perso il talento a causa del desiderio di Simone, e aveva continuato a farlo quando il talento l'aveva riavuto indietro.

Claudio era certo che continuasse a farlo ancora. Era arrivato dove era arrivato anche grazie a quelle ore in più. Era arrivato dove era arrivato perché aveva sudato e lavorato ogni giorno con dedizione. Claudio voleva dimostrare a se stesso che anche lui poteva farcela. In minore, ma poteva farcela.

«C'è la classe di recupero per i bambini handicappati a quest'ora?» Due grasse risate all'unisono annunciarono l'arrivo di Raul e Serafin.

Serafin Konjuh era la persona più sgradevole di tutto lo spogliatoio. Claudio lo trovava persino più sgradevole di Raul, che per lo meno era ostile in modo aperto, senza sotterfugi.

Serafin era viscido: sempre pronto a umiliare e prendere in giro chi gli sembrava la parte più debole, e la parte più debole poteva variare di momento in momento, quindi aveva un comportamento cangiante, ambiguo. Approfittatore.

Era titolare fisso, in squadra. Centrocampista offensivo o trequartista, a seconda del modulo. Un venticinquenne serbo che viveva in Italia da quando era un ragazzino e parlava italiano meglio di metà degli italiani dello spogliatoio. L'unica cosa che rivelava la sua nazionalità era un lievissimo accento. Sembrava un tipo intelligente, a volte persino divertente. Ma Claudio non si faceva abbindolare dai suoi modi e dalle sue battute.

«Buonasera» rispose Claudio, interrompendo l'esercizio di dribbling coi coni. Si rivolse a Raul, autore del raffinato umorismo. «Vuoi unirti a me? Sicuro un po' de esercizio extra te sarebbe utile pa' 'a ciambella addominale.»

Raul lo fissò per qualche istante con uno sguardo poco sveglio, prima di capire che Claudio si stava riferendo alla sua pancia. Serafin, invece, che aveva capito subito la battuta, era scoppiato a ridere. Raul reagì alla risata tirando uno spintone al compagno, poi si avvicinò a Claudio con fare minaccioso.

«Che cazzo hai detto?»

Claudio non indietreggiò e Raul arrivò a fissarlo a due centimetri dal suo naso. Si era persino alzato un po' in punta di piedi per arrivare alla sua altezza.

«Che è 'sta confidenza?» gli disse Claudio in faccia. «Voi pomicià? No grazie, ci hai 'na fiatella che stenderebbe 'n elefante.»

Serafin scoppiò a ridere di nuovo.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora