116. Morirei per Tiziano

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Claudio seguì Leonardo attraverso passaggi coperti dello stadio. Il buttafuori si guardava costantemente intorno con circospezione: sembrava aver preso molto sul serio l'indicazione di Tiziano: proteggi Claudio a costo della tua stessa vita...

Fortunatamente non incontrarono altri giornalisti: di lì a poco, Claudio avrebbe dovuto rispondere a chissà quante domande della polizia, non aveva alcuna voglia di subirne altre anche da parte della stampa. I giornalisti gli avrebbero fatto domande anche sulla partita. Sul gol. Aveva sognato tanto di fare quel gol, ed era stato un gol bellissimo. Ma in quel momento sembrava qualcosa che gli era accaduto in un'altra vita.

Avrò tempo de pensacce nei prossimi giorni...

L'esistenza della magia. Simone abbandonato. Uno psicopatico che prendeva le sembianze di Tiziano. Erano i problemi che in quel momento lo assillavano di più.

«Come sarebbe a dire?» esclamò all'improvviso Leonardo, portando una mano all'orecchio. Stava comunicando con qualcuno. «Mh... va bene... Sì, Camporese è all'antidoping, ma poi vuole venire anche lui in ufficio e assistere all'interrogatorio di Barazzutti, è un problema?... Ok, perfetto, grazie.» Leonardo si rivolse a Claudio. «Mi hanno detto che i gendarmi non sono ancora arrivati, ma...»

«I gendarmi?» Claudio rise. «Ma come parli?»

Leonardo scrollò la testa. «Volevo dire i pulotti... Cioè, la polizia normale...»

La polizia normale? Perché, esiste un'altra polizia? 

Claudio non commentò, ma pensò che il buttafuori fosse un po' stupido e non molto capace di esprimersi in lingua italiana.

Del resto, Tiziano me l'aveva detto che era scemo.

«Comunque, dicevo,» proseguì Leonardo, «che i pulotti non sono ancora arrivati perché stanno ancora interrogando l'uomo che ti ha aggredito. Ma non ti preoccupare, mi hanno detto di aspettare con te.»

«Ok.» Bella compagnia... «E poi Tiziano può entrare anche a interrogatorio iniziato, eventualmente?»

«Sì, mi hanno detto di sì. No problem.»

Claudio si sentì rassicurato dalla notizia.

Leonardo continuò a guidarlo attraverso un dedalo di corridoi e scale. Claudio aveva ormai da tempo perso il senso dell'orientamento: non avrebbe saputo dire dove si trovavano in quel momento.

A un certo punto, giunsero in un corridoio il cui pavimento era cosparso di fogli A4.

«Che cazzo!» sbraitò Leonardo con odio. Calpestò gli A4 come se volesse distruggerli. Claudio intravide delle scritte a penna, su quei fogli, ma non ebbe il tempo di leggerle, perché Leonardo camminava sempre più veloce.

«Eccoci, questo è l'ufficio di Tare» annunciò finalmente il buttafuori aprendo una porta. Igli Tare era il direttore sportivo della Lazio, un volto che Claudio conosceva bene. Si aspettava di trovare delle sue foto, dentro l'ufficio, magari in compagnia di calciatori famosi a cui aveva fatto firmare il contratto (magari anche una foto di Tiziano), ma si stupì di trovare l'ampia stanza praticamente vuota. Era un ufficio, sì: scrivania con due poltroncine girevoli, telefono, un laptop chiuso, una pianta nell'angolo e un piccolo divanetto. Non c'erano segni distintivi, era molto impersonale. Solo un piccolo gagliardetto della Lazio appeso a un muro.

Un tipo minimal, il vecchio Tare...

Del resto, quello era un ufficio secondario, il suo ufficio principale probabilmente si trovava al centro sportivo di Formello.

«Puoi sederti, tra poco arrivano» disse Leonardo piazzandosi accanto alla porta, schiena dritta e braccia dietro la schiena.

Claudio lo fece.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora