140. Fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia

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Giunse il momento di salutarsi. Ma Claudio non era triste, perché sapeva che si sarebbero rivisti presto. Ci furono abbracci e baci, e un'ultima sveltina in garage, prima che Claudio prendesse le sue cose e la sua indistruttibile R4 magica, per tornare a Bologna.

Tornava alla sua vita da professionista, come se nulla fosse cambiato, quando invece era cambiato tutto. A cominciare dalla casa vuota. La casa in cui aveva vissuto gli ultimi mesi col padre.

Avrebbe dovuto disdire il contratto, da solo Claudio non poteva permettersi l'affitto. Avrebbe dovuto cercare una nuova sistemazione più economica. Non voleva chiedere soldi a Tiziano, per quello. Non l'avrebbe fatto.

Per quanto riguardava il Felsina, avrebbe onorato il proprio contratto, se fosse stato costretto a farlo. Ma voleva tornare a Roma. Controllare la situazione da vicino, finché sua madre fosse stata prigioniera. Perciò, avrebbe provato a convincere Artemide Vinci a venderlo. 

Ma come avrebbe mai potuto chiederglielo? Aveva trasformato suo fratello in un fantasma. Un fantasma che Claudio aspettava solo di incontrare. Artemide sembrava amare molto il fratello, nonostante lui fosse uno psicopatico. Come avrebbe reagito? Avrebbe provato a vendicarsi? O si sarebbe comportata in modo corretto e onesto, come aveva sempre fatto? Claudio non ne aveva idea. Ed era l'ennesimo problema da risolvere.

Claudio aveva già chiamato Margherita, per avere notizie del padre e della madre. Il corpo del padre ripieno di evocatrice non era più a Roma, era stato trasferito a Milano. Scoprì che l'avrebbero spostato spesso, nelle varie comunità dove servivano evocazioni. Sarebbe certamente andato anche all'estero. Claudio si sarebbe dovuto occupare di avvisare i nonni paterni e anche Stella, la sua allieva tennista, dell'improvvisa sparizione. Gli ufficiali del Bureau avevano in mente di organizzare un incontro controllato, in cui Rosa avrebbe recitato loro una scusa plausibile per le lunghe assenze. Quanto a sua madre, la promessa di liberarla sembrava concreta, ma non si sapeva quando sarebbe avvenuta.

Arrivò a casa, a Bologna, nel tardo pomeriggio. Claudio si lasciò cadere sul divano, il piccolo divanetto dove sedeva sempre dopo l'allenamento mattutino, in attesa che il padre finisse di preparargli la colazione. Il porridge con frutta fresca e noci... Quanto lo aveva detestato, agli inizi! Ora, ripensandoci, ne aveva nostalgia e si rese conto che, in realtà, il sapore gli era piaciuto da subito.

Rimase sul divano per qualche minuto, pensando a niente. Quindi si alzò, aprì il frigo. C'era ancora un po' di pseudonutella, in un barattolo. L'ultima. Poi non ce ne sarebbe stata più. Certo, Claudio avrebbe potuto prepararsela da solo, ma non sarebbe stata la stessa cosa.

Andò nella stanza del padre. Il letto era ancora disfatto. C'era l'ultimo numero di Tennis Italiano, sul comodino. Sulla cassettiera diversi libri di preparazione atletica e di tattica calcistica.

Claudio aprì un cassetto e guardò i vestiti all'interno, per lo più materiale ginnico della Fila.

Aprì il borsone da tennis, tirò fuori una delle racchette. Era una Head. Il grip violetto era usurato, andava cambiato.

Provò un dritto a mezz'aria, ricordava ancora come farlo. Erano movimenti che non si dimenticavano, una volta appresi, un po' come andare in bicicletta. Appoggiò la racchetta al muro e si diresse al comò.

Siamo sicuri che voglio aprì pure 'sto cassetto, e magari ce trovo dentro un vibratore anale?

Lo aprì. Non c'era un vibratore. Non c'era altro che una scatola. Claudio, incuriosito ma un po' titubante, la aprì e scoprì che conteneva solo foto.

Tante foto. Per lo più di Claudio. A diverse età.

Bambino sul campo da tennis, adolescente su quello da calcio. Foto col padre. Foto con la madre. Foto casuali, che Claudio non ricordava dove o quando fossero state scattate.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora