29. Ce stai a provà co' me?

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«Gaudenzi, scaldati.»

Claudio voltò lo sguardo, incredulo. Marco, lo stramaledetto parrucchiere tabagista, si stava alzando dalla panchina. Non mancò di lanciare a Claudio un'occhiata torva, prima di mettersi a correre a bordocampo.

Due settimane prima, al suo ritorno a Bologna, Claudio era miracolosamente riuscito a recuperare le sue cose dalla camera in convitto in un momento di assenza di Marco. Purtroppo, però, il destino aveva continuato a metterglielo davanti, perché Marco durante quelle due settimane (dodici giorni, a essere precisi) aveva partecipato a diverse sedute di allenamento della prima squadra. Non era comune che un primavera venisse convocato in partita dopo così pochi allenamenti, ma Marco era davvero bravo. Era un mediano-regista e aveva una visione di gioco e una precisione di passaggio da far invidia a parecchi suoi compagni più esperti. Ed era piuttosto coraggioso nel contrasto fisico, anche se vista la giovanissima età gli mancava qualche chilo di muscolo. L'unico suo difetto era la resistenza: si stancava subito, motivo per cui Lajovic gli faceva pressioni costanti affinché smettesse di fumare.

Durante gli allenamenti insieme, Claudio si era aspettato qualche tipo di vendetta da parte sua, ma lui si era limitato a rivolgergli occhiate furiose e qualche frasetta passivo aggressiva mormorata a mezza voce quando gli capitava di passargli accanto.

Un altro motivo per cui nun me piace, aveva pensato. Nun c'ha manco le palle de mannamme a 'fanculo apertamente, davanti a tutti.

Forse perché c'ha paura de fà la figura der frocio.

Claudio era rimasto l'unico giocatore della panchina a cui l'allenatore non aveva chiesto di scaldarsi: osservò Marco che correva su e giù, senza riuscire a inghiottire un grumo di irritazione.

Lo ha chiesto pure a lui.
All'ultimo stronzo novellino primavera.

Dire che Claudio fosse deluso da ciò che stava accadendo era un eufemismo. Il Felsina era impegnato nel terzo turno di Tim Cup, contro l'AlbinoLeffe, un'altra squadra di C, pari categoria. Giocavano in casa per meriti di classifica, era ormai il trentacinquesimo del secondo tempo e il risultato per ora era un pareggio: 1 - 1.

Nei giorni precedenti, durante gli allenamenti di preparazione, Lajovic, Struff e lo staff di tattici si erano ovviamente concentrati sugli schemi di attacco che prevedevano Raul falso nove, ma avevano provato anche qualche schema a due, con Claudio e Raul centravanti, e persino a tre, con Claudio centravanti e Raul e Serafin sulle fasce.

Ora quelle prove sembravano dimenticate. Claudio, in panchina, scalpitava per entrare. Avrebbe voluto dare una mano ai suoi compagni a vincere, per arrivare agli ottavi. A una sola partita di distanza dalla Lazio (non pensare a Tiziano!). Ma l'allenatore non sembrava dello stesso avviso.

Claudio ci aveva sperato: dopo che contro il Salerno, una squadra di B, si era messo in mostra con quell'assist decisivo per la vittoria, aveva pensato che con una squadra di livello più basso Lajovic ci avrebbe riprovato. Anche perché non gli aveva dato feedback negativi, nelle due settimane trascorse.

Ma evidentemente c'aveva ragione papà: contro il Salerno ho giocato de merda e l'assist m'era venuto de culo.

Mentre Claudio rimuginava e si torceva le mani per la smania di giocare, accadde ciò che tutti speravano: il secondo gol del Felsina. Una bella incursione combinata di Raul e Serafin, finalizzata da Raul.

Claudio scattò in piedi in un grido di esultanza. Era il quarantunesimo: se avessero resistito solo altri quattro minuti... quattro più recupero...

Claudio lanciò un'occhiata ansiosa a Lajovic.

Mo' farà un cambio pe' perde trenta secondi.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora