103. Il figo e lo sfigato

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«Claudio, hai sentito?»

«Sentito cosa?»

Da almeno mezz'ora Claudio non stava più percependo il mondo esterno.

Era seduto sulla panchina sotto l'armadietto di Dzeko. «Visto che sei romanista ti lasciamo scegliere l'armadietto per primo» gli avevano detto i compagni.

E Dzeko gli era sempre stato simpatico. Forse perché era un perticone scarso come lui.

Ma in realtà stare seduto lì non gli faceva alcun effetto. L'unica emozione che provava era tensione.

Giocherò all'Olimpico.
Giocherò contro la Lazio.
Giocherò contro Tiziano.

«Hanno appena letto il tuo nome nelle formazioni ed è venuto giù lo stadio!» disse Luigi.

«Venuto giù in senso buono o cattivo?» chiese Claudio, che si sentiva sempre di più immerso in una specie di bolla sovradimensionale.

«Metà fischi, metà boato! Una roba epica! Ma non hai sentito?»

«Me sto a cagà sotto, rega'.» Claudio si stupì del proprio momento di sincerità.

E si stupì ancora di più della reazione dei compagni.

Si avvicinarono a lui e cominciarono a incoraggiarlo.

«Dai!»

«Giocheremo benissimo!»

«Sei un grande, Claudio!»

Quelle parole lo rincuorarono davvero.

Lo riportarono sulla terra.

Gli fecero ricordare le parole di Gus, la sera prima. Sull'essere un leader dello spogliatoio. Sulla fascia di capitano.

Un capitano non deve avere paura.

«C'avete ragione, cazzo. Non è il momento di cagarsi sotto!» Si alzò in piedi. «Vado a darmi una rinfrescata» disse, e si diresse verso il bagno. Si voltò un attimo, prima di uscire dalla stanza: «E quando usciamo dal tunnel je rompemo er culo, a 'sti laziesi demmerda!»

I compagni esplosero in un grido collettivo di esultanza.

«A cazzo duro!» gridò Baffo.

«A cazzo duro!» gli fecero eco gli altri.

Claudio stava sorridendo, mentre entrava nei bagni.

«A cazzo duro...» borbottò qualcuno da dentro un loculo WC. Claudio sentì odore di fumo e notò una voluta grigia che si alzava sopra lo stesso loculo.

«Da quanno te sei messo a dieta hai deciso de datte ar tabagismo pe' compensà in salute?»

«Quanto ti odio quando parli terrone per fare il simpatico...» disse la voce di Raul.

«Non mi serve parlare romanesco per essere simpatico. L'unico motivo per cui parlo in romanesco è che so' pigro e me vie' più facile.»

«Lo so, che non ti serve. Ti adorano tutti, romanesco o non romanesco.»

Claudio incrociò le braccia e si mise a gambe larghe davanti al loculo in cui Raul si era chiuso a fumare. «Senti 'n po': stai pure a cagà, lì dentro, o solo a fumà? No, perché a me piace guardarle negli occhi, le persone, quanno ce parlo.»

Raul tirò un calcio alla porta, che si aprì. Claudio bloccò l'anta con una mano.

Raul sedeva su una tazza chiusa, vestito da gara, un braccio sul ventre, il gomito dell'altro appoggiato alla gamba, con una mezza sigaretta in mano. C'era un piccolo cumulo di cenere, a terra. Diede un tiro alla cicca, guardando Claudio in modo ostile. «Prima che ti senti in missione di far smettere anche me, ti avviso subito: non serve. Non fumo mai. Solo una sigaretta prima delle partite importanti.»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora