13. La prima cosa che mi viene in mente

3.6K 493 732
                                    

Mai, mai la prima cosa che mi viene in mente.

Claudio scolò il sesto shot, lanciò un urlo in falsetto e mentre i compagni lo applaudivano ebbe l'impulso di lanciare il bicchiere a terra. Ma si trattenne.

Mai! Mai!
Non avrei manco dovuto urlà, cazzo.
Che cazzo so' sti urletti da frocio?

Gli girava la testa. La cosa che lo consolava era che gli altri compagni di gioco sembravano messi decisamente peggio di lui: Paul era già fuori perché, nonostante la sua stazza notevole, aveva vomitato dopo il quarto. Evidentemente era ancora meno abituato di Claudio, a bere. Sia Ciro che Luigi non riuscivano a dire nemmeno due parole di canzone senza scoppiare irrefrenabilmente a ridere.

Claudio, invece, era serissimo. Si stupì del contegno che stava riuscendo a mantenere. Ma si sentiva strano. Gli venivano in mente pensieri bizzarri sui suoi compagni. Ad esempio, in quel momento stava fissando la folta barba di Tancredi (difensore centrale, uno dei veterani) e stava riflettendo sul fatto che sarebbe stata molto bella adornata di pratoline.

Si rendeva conto che era un pensiero che normalmente non avrebbe fatto. Ma in quel momento gli sembrava davvero un'idea esteticamente piacevole. Ebbe quasi l'impulso di dirglielo, ma si trattenne.

Mai la prima cosa che ti viene in mente.

Ciro non riuscì a finire il suo settimo shot: appena portò il bicchiere alle labbra gli cadde dalle mani. «Mi arrendo...» disse. «Non ce la faccio più.»

«Resa accettata» disse Gus, «e domani penseremo a una punizione perché non hai finito il gioco.» Diversi compagni risero, Claudio ne vide uno strofinarsi le mani e rimase come ipnotizzato da quel gesto. Gli sembrò di avvertire del solletico sui propri palmi, come se fosse stato lui stesso, a strofinare le proprie.

«E fora due, quindi!» gridò Gus. «Sono rimasti solo Marzo e Barazzutti.»

Luigi Marzo era il ragazzino. Il diciassettenne interista.

Nun me posso fà batte da un diciassettenne, pensò Claudio.

Ma il diciassettenne doveva avergli letto il pensiero, perché lo guardò con aria di sfida. Nemmeno iniziò a cantare il suo pezzo. Afferrò il suo bicchierino e scolò il suo settimo. Sbatté il bicchierino sul tavolo, quando ebbe finito.

«Ah sì? È così?» gli disse Claudio. «Allora fanculo Jem!» Claudio prese in mano il suo bicchiere e rispose alla sfida, scolandosi anche il suo.

Aveva la nausea. Il mal di mare. Lo stomaco sottosopra. Ma non avrebbe vomitato.

«Il gioco si fa duro!» gridò qualcuno.

«Versami un altro» biascicò Luigi indicando il bicchiere. Poi si poggiò sul tavolo con entrambe le mani. «Oddio sto male» disse. Fortunatamente uno dei compagni capì per tempo cosa stava per succedere, lo tirò lontano dal tavolo e Luigi si vomitò addosso. Qualche schizzo finì a terra.

E poi chi pulisce? pensò coscienziosamente Claudio. Le cameriere tettone?

Erano ancora lì, le cameriere, e non sembravano minimamente preoccupate dal vomito. Una bionda, una mora. Claudio osservò attentamente le due pallide cunette dei seni della mora. Erano lisci e lucidi. Immaginò l'esistenza di minuscoli omini, sciisti mammari che scalavano la scollatura e poi scivolavano giù lungo i pendii, perdendosi all'interno del taglio.

Anche questo non è un pensiero normale, si rese conto. Non è una cosa che devo dire ad alta voce, si impose.

«Abbiamo un vincitore!» gridò un suo compagno sollevando di scatto il braccio di Claudio. Il movimento improvviso formò una specie di onda energetica che gli attraversò tutti i muscoli del corpo e si espanse al di fuori di lui rendendo per un attimo il mondo vibrante.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora