Sovrano del mondo, distruttore di popoli, dio dei cieli e divoratore di universi

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[il numero di capitolo è assente perché non ci stava]

I primi minuti del secondo tempo furono esplosivi. Un dominio quasi totale del Felsina.

Claudio aveva appena fatto un ottimo assist a Raul, che aveva tirato verso la porta. Fuori di poco. Raul faceva il falso nove mentre Claudio giocava più arretrato, anche se era una posizione a cui non era abituato. Ma l'allenatore gli aveva dato fiducia, aveva pensato che Claudio fosse in grado di creare gioco, non solo di finalizzare. E anche se questo significava qualche occasione in meno per segnare, non importava. La cosa più importante era la squadra.

In spogliatoio, Claudio si era aspettato una sfuriata di Lajovic, e si era invece stupito di trovarlo calmo. Cupo, ma calmo. Determinato. Con il supporto di Struff alla lavagnetta, aveva cominciato immediatamente a spiegare alla squadra tutti i punti deboli della difesa e del centrocampo laziali.

Aveva ribadito ciò che già avevano studiato durante le ore e ore di videoanalisi guardate prima della partita e messo in luce gli schemi che l'allenatore laziale aveva preparato per contrastare le offensive del Felsina.

«Dovete esserne fieri!» aveva detto loro. «La Lazio non ci sottovaluta. Hanno studiato. Hanno elaborato delle strategie per ingabbiare Raul sulla trequarti, per neutralizzare le penetrazioni di Claudio. Il primo che fa una battuta gay su penetrazioni gli cionco la testa.»

Lo spogliatoio aveva riso (anche Claudio).

Ma Lajovic era serio. «Loro ci rispettano come avversari, al contrario dell'Udinese. Facciamogli vedere che meritiamo il loro rispetto! Facciamogliela sudare! Io ci credo!»

Le grida cariche con cui i compagni si erano incoraggiati a vicenda avevano reso chiaro che ci credevano anche loro.

La palla viaggiava in avanti, portata dal piede di Claudio. Fischi e cori si mescolavano nell'aria fredda dello Stadio Olimpico, Claudio non li sentiva più. Era concentrato sul gioco. Non importava cosa la gente pensasse di lui, non gli interessava che lo considerassero un frocio o un simbolo. In quel momento era solo Claudio Barazzutti, numero 9 del Felsina. C'era scritto anche sulla sua schiena. Non era nient'altro.

Era il numero 9, e stava giocando in uno degli stadi più grandi d'Europa, contro una squadra di massima serie. Contro la Lazio, la sua Rivale. Non sarebbero bastati tutti i fischi e i dildo del mondo a portargli via quelle sensazioni magiche.

Nemmeno Tiziano poteva rovinargli la serata.

No, non pensare a Tiziano.

Claudio vide uno spazio e passò la palla a Serafin, all'indietro. Lui lanciò Raul in avanti. Un tiro, una parata. Una bella parata del portiere laziale. Calcio d'angolo.

Le azioni si susseguirono, passarono i minuti. Ci furono lotta, sudore, botte, strisciate verdi d'erba sui pantaloncini bianchi. Primo cambio per il Felsina, al quindicesimo. Entrò Antonino al posto di Tancredi, che cominciava a essere stanco.

E poco dopo la sostituzione arrivò il gol. Ma non fu Claudio a segnare.

Fu Raul. Era stato Claudio, però, a servirlo. Con un filtrante che non avrebbe mai pensato di riuscire a fare. Un filtrante attraverso le maglie della difesa di una squadra di Serie A. Raul ebbe l'impulso di correre in porta a recuperare il pallone, per portarlo subito a centrocampo, come si faceva sempre quando la squadra era in svantaggio, per non perdere tempo. Ma Claudio lo precedette. Voleva lasciargli almeno qualche secondo di esultanza. Era uno stronzo e uno stupido, ma con tutte le batoste che aveva dovuto sopportare si meritava una sana esultanza.

Appena Raul si accorse che Claudio stava facendo il lavoro sporco, sfogò la sua gioia con un grido e una corsa, i compagni lo abbracciarono.

«Questa è la notte più bella della mia vita!» lo sentì dire, passandogli accanto.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora