19. Esordio

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Lo stadio della Salernitana fu una vera delusione: non era molto più capiente di quello del Felsina ed era, per giunta, vecchissimo. Sembrava sul punto di sgretolarsi sotto il peso dei pochi coraggiosi che erano venuti a vedere quel triste turno eliminatorio di Coppa Italia.

Claudio, seduto in panchina, rivolse un'occhiata alla curva ospiti, dove una trentina di tifosi venuti in trasferta da Bologna sbandieravano striscioni rosso-blu: il Felsina aveva gli stessi colori sociali del Bologna e la loro maglia casalinga era rossa, con un palo blu e bianco che divideva il petto a metà in verticale. Oggi avrebbero indossato la seconda maglia, bianca con palo rosso-blu. Si chiese se i suoi genitori e sua nonna fossero là, in curva con gli altri tifosi, o avessero preso un biglietto in tribuna. Non gliel'aveva chiesto.

La partita era in stallo. Il secondo tempo era cominciato da dieci minuti e il risultato era fermo sul 2-2. Il Felsina faticava a mantenere ordinata la difesa, la squadra si stava chiudendo sempre più a catenaccio. Continuando così il terzo gol della Salernitana sarebbe arrivato molto presto.

Il vantaggio iniziale era stato del Felsina. Un gol al secondo minuto, merito di un'incursione scriteriata di Raul, che aveva mandato la difesa della Salernitana nel panico per un buon quarto d'ora di gioco. Era stata in quella situazione confusa che il Felsina era riuscito a segnare un secondo gol, questa volta del capitano Gus, di testa su calcio d'angolo.

Ma dopo quei primi minuti, la squadra sulla carta più forte era riuscita a riorganizzarsi e aveva da quel momento dominato la partita. I due gol degli avversari erano arrivati entrambi nel primo tempo, al trentesimo e al quarantunesimo. Lajovic, dalla panchina, si era infuriato. E durante la pausa tra i due tempi aveva dato in escandescenze: «Siete dei coglioni!» aveva gridato. «Vi state cagando addosso, non sono più forti di noi! State perdendo perché siete delle femminucce!»

Ciò che più colpiva Claudio, di quella partita, era l'intensità. C'erano solo due categorie che separavano l'Eccellenza dalla C, e tre dalla B, ma a Claudio sembrava che il livello di quella partita fosse venti volte più alto, rispetto a quelle di Eccellenza.

Stava pensando queste cose, seduto in panchina, mentre guardava i suoi compagni lottare sul campo, quando l'allenatore gridò il suo cognome.

È arrivato il momento, pensò con trepidazione.

«Scaldati» disse Lajovic.

Quella semplice parola fermò per un istante il battito del cuore di Claudio. Si tolse rapidamente i pantaloni della tuta e scattò in piedi. C'erano altri due compagni che correvano a bordocampo.

Nemmeno nei suoi sogni più arditi avrebbe pensato di esordire alla seconda partita ufficiale. Non riuscì a evitare di sentirsi un po' emozionato.

No, non semplicemente un po'. Le braccia e le mani gli tremavano. Sentiva poca forza nei muscoli, le ginocchia instabili.

Eddaje, Cla'. Schiena dritta e cazzo duro.
Non è niente, ne hai giocate a dozzine, de partite.

In Eccellenza.

Cercò di calmarsi pensando ad altro. Ma non c'erano molti pensieri gradevoli e rilassanti, nella sua testa, in quel momento della sua vita.

Non passarono neanche cinque minuti e l'allenatore richiamò Claudio accanto a sé.

«Forse sto facendo una cazzata» disse Lajovic, riflettendo ad alta voce. «Un allenatore più prudente aggiungerebbe un uomo in difesa e punterebbe alla lotteria dei rigori.» Sospirò, si voltò verso Claudio. «Ma io non sono un cagasotto. Vediamo se il tuo ingresso riesce a confondergli le idee. Conto sul fatto che non ti conoscono.»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora