37. Febbre

2.8K 455 584
                                    

C'era Artemide Vinci, davanti a lui. Teneva in mano una siringa. Aveva uno sguardo minaccioso.

«Avresti dovuto vaccinarti» gli disse. «Tutti si sono vaccinati. La dottoressa Salieri ha distribuito i volantini in spogliatoio. Perché non ti sei vaccinato? La tua influenza costituisce una perdita in denaro per la squadra.»

«Hai ragione» mormorò Claudio. Se n'era dimenticato. Troppi impegni, troppo studio, se n'era completamente dimenticato. «Che stupido... scusa...»

«Claudio? Che c'è?» Suo padre, ora. Suo padre, con un bicchiere d'acqua in mano. Dov'era finita la Vinci? «A chi stavi chiedendo scusa?»

«Artemide... dov'è?»

La mano del padre, sulla fronte. Era fredda. «Stavi sognando... Cazzo se scotti!» Gli porse un oggetto lungo, stretto. Un termometro.

«Me lo devo mettere in culo?»

Il padre rise. «Anche quando sei malato non perdi il senso dell'umorismo.»

Ma Claudio non stava scherzando, per un attimo l'aveva pensato davvero. Come ai cani e ai gatti dal veterinario...

Infilò il termometro sotto l'ascella e sprofondò nel letto, sotto le coperte, sentì il cuscino avvolgergli orecchie e guance e gli sembrò di soffocare. 

Cominciò a precipitare. Un telefono squillava, mentre cadeva nel nulla.

«Pronto? Pronto? Chi è?»

«Perché non mi hai chiamato?»

Tiziano...

«Hai ragione... dovevo chiamarti, ma non mi ricordo più perché...»

«Pensaci, Claudio. Concentrati. Perché volevi chiamarmi? Cosa volevi dirmi?»

Cosa volevo dirgli?

«Non lo so! Non lo so!» Claudio si passò le mani tra i capelli. Erano tutti annodati, le dita si incastrarono tra le ciocche.

«Concentrati, Claudio!»

Era la voce della Vinci, ora, che parlava. Stentorea, gli risuonava nel cervello in modo innaturale.

C'entra qualcosa, la Vinci c'entra qualcosa...

«Claudio, porca zozza, stai messo malissimo! Con chi stai a parlà? Fa' vedere la temperatura.»

Claudio aprì gli occhi, e sopra la testa del padre incombeva un castello di prismi. Alto, intricato come non mai, sfaccettato, scintillante e purpureo.

Quanto tempo... quanto tempo che non li vedevo più...

Li aveva quasi dimenticati, i prismi. Allungò una mano.

«Cazzo! Ieri era trentotto. Oggi è trentanove e tre» disse il padre.

Claudio toccò il castello. Lo toccò. Lo sentì, freddo ed elettrico sotto le proprie dita, e seppe che se avesse voluto avrebbe potuto scombinarlo, romperlo, staccarlo e distruggerlo.

L'idea di poterlo fare lo pervase di un terrore incomprensibile ma profondissimo, lo fece urlare.

«Claudio, che te pija?»

Il castello di prismi era scomparso. L'espressione del padre era preoccupata. «Merda... devo andare subito a prenderti qualcosa per la febbre!»

«Paracetamolo...» biascicò Claudio.

«Sì, dottore. Io esco, ci metto un attimo. Tu bevi» gli indicò il bicchiere sul comò.

Claudio obbedì. Un po' d'acqua gli rivolò sul mento, si asciugò con il lenzuolo. Aveva caldo e freddo allo stesso tempo.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora