28. La telefonata

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Da quando si era trasferito a Bologna, Claudio non aveva mai sentito suo padre al telefono. Si scrivevano ogni tanto qualche messaggio (come va, come non va, bravo per l'assist ma hai giocato de merda, e simili) e gli arrivavano su Whatsapp, puntuali, quasi ogni giorno, barzellette e meme che suo padre pescava dalle pagine Facebook a tema calcistico e tennistico (Claudio per lo più li ignorava o rispondeva con un cortese: ahah). Ma non si erano mai chiamati.

Claudio gettò nel cestino la tazzina di carta del caffè da asporto che aveva preso all'Autogrill. Poi aprì la R4, parcheggiata proprio lì, accanto all'entrata. 

Aveva meditato se chiamare il padre la sera prima, ma siccome viveva a venti minuti di macchina da casa sua, non voleva rischiare che lo invitasse a uscire a cena. Claudio non aveva nulla in contrario a incontrare suo padre di persona, ma era talmente stanco che non avrebbe retto una serata di conversazioni.

Claudio sedette in auto. Aveva parcheggiato all'ombra, quindi non faceva troppo caldo: avrebbe aspettato di finire la chiamata, prima di ripartire. Fissò lo schermo attivo del suo telefono per qualche interminabile istante: Padre, c'era scritto.

Prese un respiro, si fece forza e cliccò sul simbolo della cornetta verde.

Squillò tre volte e la linea si collegò.

«Ok, quanto te serve?»

Claudio rimase in silenzio per una manciata di secondi. Poi scosse la testa, incredulo. «Ma te pare er modo de salutà tu fijo?»

Come cazzo fa a sapere che mi servono soldi?

«Dimme quanto te serve e famola finita. Aoh!» Claudio staccò il ricevitore dall'orecchio perché suo padre si era messo a gridare. «E movi un po' quer culo! Quella la pijava pure mi' nonna zombie uscita dalla tomba!» Si trovava evidentemente nel bel mezzo di una lezione di tennis: era il suo lavoro.

«Se sei impegnato ti chiamo dopo» disse Claudio.

«No, no, aspe'...» La voce si fece più distante, come se avesse allontanato il telefono dal viso: «France', Miche', fateme du' minuti de palleggio da fonno campo pe' i cazzi vostra, ce sta quell'ingrato de mi fijo ar telefono ché nun lo sento mai.» Riavvicinò il ricevitore. «Dimmi tutto. Ti servono soldi?»

«Ok» rispose Claudio. «Come cazzo fai a saperlo?»

«Allora, vediamo: vivi da solo per la prima volta in vita tua, co' 'no stipendio da fame, e Laura sta a organizzà la luna di miele nei Caraibi. Quindi deduco che hai chiamato lei, te sei reso conto che nun ce stava trippa e te sei ricordato der tuo caro paparino.»

«Sei sprecato come maestro di tennis. Fatte assume all'FBI.» 

«Quanto te serve?»

Claudio sospirò. «Senti... non volevo chiederti niente. Ma lo stipendio mi arriva appena il quindici. Mi tocca stare in hotel per un paio di giorni, forse una settimana, forse pure due, non riesco a pagarmelo con quello che mi avanza sul conto.»

«Come sarebbe a dì in hotel? Non stavi in convitto? O cazzo... no... te prego, Cla', nun me dì che hai molestato er tu' compagno de stanza e t'hanno cacciato dar convitto...»

Più o meno, pensò. Però lui ce stava. 

«Ma per chi cazzo m'hai preso?!» rispose Claudio, fingendosi indignato.

«E che è successo allora?»

«Sono io, che me ne voglio annà. Subito. Cerco un posto letto in affitto. Ma intanto che lo trovo me tocca dormì in hotel.»

«Nun me lo voi popo dì che è successo? Problemi cor compagno de stanza? T'ha molestato lui? È troppo brutto? Je puzza l'ascella? Che problemi c'hai?»

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora